La 177° Brigata era un raggruppamento partigiano attivo nel cuneese. Alla morte di Giovanni Barale ne assunse il nome. Barale aveva frequentato per cinque anni il Ginnasio nel Seminario di Cuneo, che aveva lasciato per trasferirsi a Boves, a impararvi il mestiere del carradore. Costruì carri a Genova, a Parigi, a Losanna e a Ginevra e, durante la Prima guerra mondiale fece l'"operaio militarizzato" alla Fiat. La sua partecipazione ai moti di Torino, "per il pane e la pace", gli procurò l'invio al fronte sul Monte Grappa, dove combatté nel 3° Reggimento Genio della IV Armata.
Nell'immediato dopoguerra Barale fu nel Cuneese un impegnato socialista e, quando nacque il PCd'I, non solo vi aderì, ma divenne il primo segretario della Federazione comunista di Cuneo. L'avvento al potere del fascismo non intimidì Barale, che passò all'attività clandestina sino a che, nel 1939, fu arrestato.
Due anni di confino a Capestrane (L'Aquila), poi per il carradore il ritorno a casa e, il 25 luglio 1943, la ripresa in pieno dell'attività politica. Fu Giovanni Barale, infatti, a riorganizzare nel Cuneese il suo partito e a farne il perno del movimento unitario antifascista. Fu sempre lui che, dopo l'armistizio, si adoprò per reclutare i soldati e gli ufficiali del nostro Esercito, di ritorno dal Fronte occidentale, e a convincerli a battersi contro i nazifascisti, aggregandoli alla prima banda partigiana che l'artigiano aveva formato nel vallone di San Giovanni di Boves.
La bottega di carradore di Barale era diventata così la sede del comando della formazione, collegata, tra le altre, a quelle di Pompeo Colajanni e Antonio Giolitti. Era il mese di dicembre del 1943 quando Barale ebbe, a San Dalmazzo, una preziosa informazione: fascisti e tedeschi stavano per effettuare un massiccio rastrellamento nel Cuneese e conoscevano perfettamente la dislocazione e la consistenza delle formazioni partigiane. Partì subito con un compagno per informare i vari comandi, ma intercettato dai tedeschi presso Castellar di Boves, fu gravemente ferito a una coscia nella sparatoria che ne seguì.
Sfuggito alla cattura, Giovanni Barale trovò riparo in una chiesa. Il suo compagno riuscì ad avvisare il figlio dell'artigiano (Spartaco), che il giorno dopo, con un'auto guidata da Giacomo Rigoni, tentò di raggiungere la chiesa. Finiti a loro volta nelle mani dei tedeschi i due furono uccisi e anche il ferito, scoperto, ebbe la stessa sorte. I nazisti, la sera di Capodanno, diedero alle fiamme i tre cadaveri.
Da quel giorno, la 177ma Brigata Garibaldi fu intitolata a Giovanni Barale. In suo nome combatterono, sino alla Liberazione, 200 partigiani; oltre ai numerosi invalidi e feriti, la 177ma contò trentadue caduti.