Nel gennaio 1944 i gruppi confluiti alla Lavagnina, nel territorio alessandrino, si unirono per dare vita alla III Brigata Garibaldi–Liguria, che arrivò alle 500 unità prima di venire spazzata via dal rastrellamento della Benedicta, nell'aprile successivo.
Nella primavera del 1944 la 3° Brigata Garibaldi "Liguria", comandata dall'ex capitano degli Alpini Edmondo Tosi (Ettore), operava tra le province Genova e Alessandria assieme alla Brigata Autonoma "Alessandria". Al momento le brigate Garibaldi erano principalmente composte da numerosi giovanissimi quasi totalmente sprovvisti di armi e della minima formazione militare, su cui pesava anche la disorganizzazione e l'incapacità di "Ettore" di prendere decisioni rapide e cruciali.
Tra il 3 e 6 aprile reparti tedeschi appoggiati da quattro compagnie della Guardia Nazionale Repubblicana italiane (due provenienti da Alessandria e due da Genova) e da un reparto del reggimento di Granatieri di stanza a Bolzaneto, accerchiarono la zona del Tobbio partendo da Busalla, Pontedecimo, Masone, Campo Ligure, Mornese, Lerma. Il 6 aprile iniziarono gli scontri armati e mentre la 3ª Brigata Garibaldi Liguria cercò di rompere l'assedio dividendo i propri uomini in piccoli gruppi, che persero quasi immediatamente il contatto con il comando, membri della "Liguria" e della Brigata Autonoma "Alessandria" tentarono una disperata difesa alla Benedicta e a Pian degli Eremiti. Il monastero della Benedicta, in cui si erano rifugiati gli uomini disarmati e meno esperti, venne minato e fatto esplodere.
Le perdite nazifasciste furono di 4 morti (3 tedeschi e 1 italiano) e 24 feriti (16 tedeschi e 8 italiani). Le forze partigiane, tra gli scontri e le fucilazioni, ebbero invece 147 morti, poi sepolti in una fossa comune. Tra questi, 75 partigiani catturati furono fucilati dai Granatieri repubblichini comandati da un ufficiale tedesco. Si salvò solo Giuseppe Ennio Odino della Brigata "Liguria", ritenuto morto. Una parte dei partigiani catturati di entrambe le Brigate fu trasferita nel carcere genovese di Marassi, mentre altri furono inviati a Novi Ligure. I renitenti alla leva presentatisi spontaneamente accogliendo l'invito delle SS che avevano promesso il condono della pena a chi si fosse costituito, furono deportati in Germania: su 351 deportati, 140 moriranno nei lager tedeschi. Altri 17 partigiani fatti prigionieri durante il rastrellamento furono fucilati il 19 maggio nei pressi del passo del Turchino, insieme ad altri 42 prigionieri, come rappresaglia per un attentato contro alcuni soldati tedeschi al cinema Odeon di Genova, in quella che sarà poi ricordata come la strage del Turchino.