33ª Divisione Fanteria "Acqui"

  • Storia

    Costituita come Brigata "Acqui" il 25 ottobre 1831 si compone di due reggimenti, 1° e 2° di fanteria. Nel corso della prima guerra mondiale la Brigata "Acqui" venne inviata a combattere sul basso Isonzo e a Monfalcone, concludendo in seguito la guerra a Trento. Nel giugno 1940 la "Acqui" si trovava dislocata lungo il confine con la Francia, in Valle Stura (settore Colle del Ferro-Argentera-Colle della Maddalena-Colle Ruberent); tra il 23 e il 24 giugno la Divisione partecipò alla Battaglia delle Alpi Occidentali, occupando la conca di Condamine e la Val Ubajette. Dopo l'Armistizio di Villa Incisa la "Acqui" fu trasferita nuovamente in territorio metropolitano, venendo stanziata in Veneto. Il 6 dicembre 1940 ebbe inizio il trasferimento della "Acqui" in Albania; entro il 18 dicembre la Divisione si trovava schierata sul fronte greco-albanese. Le perdite della "Acqui" durante la campagna di Grecia (dal 20 dicembre 1940 al 23 aprile 1941) ammontarono complessivamente a 481 caduti, 1 163 dispersi, 1 361 feriti e 672 congelati.

    Dopo l'armistizio, in seguito alla dissoluzione delle forze armate lasciate senza ordini dal governo Badoglio, mentre il re Vittorio Emanuele III si era rifugiato nel Sud libero ma non ancora in mano agli Alleati, a differenza della maggioranza delle altre grandi unità che, complice la situazione geografica e la vaghezza degli ordini, si arresero ai tedeschi, la "Acqui" decise di resistere. Stessa scelta compì il 18º Reggimento in Corfù, con ancora maggiore prontezza del comando di divisione e del presidio di Cefalonia. I tedeschi, per i quali Cefalonia e Corfù avevano una rilevante importanza strategica, poiché controllavano l'accesso al golfo di Corinto, decisero di prendere con la forza il controllo dell'isola dopo aver inviato un ultimatum al comando italiano, e accompagnandolo a varie azioni belliche, come il disarmo di reparti e batterie isolati e la presa di prigionieri italiani. Dapprima venne cercato un possibile accordo, che prevedesse il rimpatrio della divisione, ma ciò non rientrava nelle eventualità previste dai tedeschi. Nel momento in cui i tedeschi cercarono di occupare militarmente l'isola, vi fu una reazione armata da parte italiana, e le ostilità iniziarono su larga scala. Quando il comandante, generale Antonio Gandin, sentito comunque il parere delle truppe componenti il presidio, pur cosciente della difficoltà a resistere senza una catena logistica alle spalle, contro un nemico padrone della terraferma e dell'aria, rifiutò l'ultimatum tedesco, inviò ripetute e pressanti richieste d'aiuto allo Stato maggiore (che allora si trovava a Bari, a circa 400 km) e venne quasi totalmente ignorato. L'unico a rispondere fu l'ammiraglio Giovanni Galati, comandante la piazza di Brindisi che dispose l'invio di due torpediniere, Clio e Sirio, stipate di viveri e munizioni, verso Cefalonia. Avuta notizia della partenza, il comando alleato ordinò perentoriamente di richiamare le navi. In effetti, al momento la Puglia ospitava delle forze aeree alleate, ma nessun aereo alleato affiancò i soldati della "Acqui". Dopo diversi giorni di combattimento, esaurite le munizioni per l'artiglieria e disarticolata l'unità dagli attacchi tedeschi, senza nessun appoggio da parte degli alleati (Brindisi, allora nell'Italia occupata dagli alleati dista oltre 300 km da Corfù, 400 da Cefalonia), avendo subito perdite elevate, il generale Gandin, decise di capitolare il 21 settembre. Ma era comunque la resa di un reparto in uniforme, che obbediva a ordini legittimi, come quello di non cedere le armi e resistere a ogni aggressione, e ciò avrebbe dovuto assicurare ai prigionieri il rispetto della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Subito dopo, venne dato il via a un indiscriminato massacro verso i soldati e ancora di più verso gli ufficiali italiani; non vi è accordo tra le varie fonti, ufficiali e no, sul numero complessivo, ma certo diverse migliaia di soldati italiani persero la vita per aver voluto difendere il loro onore militare e il giuramento al loro paese al quale si sentivano vincolati. Da allora, il nome della divisione è legato indissolubilmente all'eccidio di Cefalonia da parte dei tedeschi. Anche le truppe stanziate a Corfù comandate dal colonnello Luigi Lusignani, che in un primo tempo avevano sopraffatto la guarnigione tedesca, dopo una lunga resistenza (i combattimenti durarono dal 13 al 26 settembre), furono travolte da uno sbarco di rinforzi tedeschi, proprio quando il comando alleato aveva iniziato a contemplare un intervento diretto di truppe inglesi. E anche a Corfù gli ufficiali italiani, dopo la resa, furono oggetto di numerose fucilazioni nella fortezza della Corfù. Il corpo del col. Lusignani fu gettato in mare insieme a quello dei suoi ufficiali e mai più ritrovato.

    Le stime delle vittime della "Acqui" oscillano fra i 6500 e i 9500 morti e traggono tutte in diversa misura origine da un comunicato emesso il 13 settembre 1945 dalla Presidenza del Consiglio, nel quale venivano indicate le perdite italiane in 9 000 soldati e 406 ufficiali. Il totale comprendeva i caduti in combattimento, i fucilati durante e dopo la battaglia e circa 3 000 uomini che, nel corso del trasporto per essere condotti in prigionia sul continente, annegarono a causa dell'affondamento dei mezzi che li trasportavano. Il primo studioso a mettere in dubbio queste cifre fu Massimo Filippini, che stimò il numero dei morti sull'isola di Cefalonia, esclusi quindi gli annegati, in circa 2 000 unità. L'analisi di Filippini, però, fu rifiutata dagli ambienti accademici, anche a causa dei toni sempre più polemici assunti dal suo autore, e la storiografia ufficiale continuò a dare credito alle stime precedentemente elaborate.
    Si dovette attendere la pubblicazione nel 2013 del fondamentale saggio di Hermann Frank Meyer affinché anche l'accademia accettasse una significativa revisione del numero delle vittime. L'analisi di Meyer, basate sulla documentazione tedesca, si fondano sulla consistenza della Divisione che, nell'imminenza dell'armistizio, era forte di 11 550 uomini, ridotti dall'autore a circa 10 700 effettivamente presenti sull'isola, in considerazione dell'usuale quota di militari in licenza.
    Poiché i tedeschi parlano di 6 400 prigionieri italiani trasportati sulla terraferma, dei quali 1 350 perirono nei naufragi, e di 1 300 prigionieri trattenuti a Cefalonia, ne deriva che i periti sull'isola dovrebbero essere circa 3 000. A questi occorre però sottrarre i soldati che sfuggirono alla cattura perché nascosti dalla popolazione civile o passati con i partigiani greci. Si può quindi affermare che a Cefalonia, fra caduti in combattimento e fucilati, i tedeschi assassinarono poco più di 2 500 uomini che, aggiungendo gli annegati, conducono a una stima di circa 4 000 vittime.
    A differenza di quella di Filippini, la stima di Meyer, in considerazione dell'autorevolezza dell'autore e della solidità dei dati su cui si basava, ebbe l'effetto di indurre a drastici ridimensionamenti del computo delle vittime anche in ambito accademico, oltre a produrre un certo imbarazzo fra i tanti che, acriticamente, avevano accettato i primi dati diffusi dalla Presidenza del Consiglio e avevano denigrato il contributo di Filippini.
    Pur nell'impossibilità di giungere a un dato preciso, oggi si può dunque affermare con Gianni Oliva che le "cifre su Cefalonia sono verosimilmente comprese fra un minimo di 3500 e un massimo di 5000".
    L'eccidio di Cefalonia ha tuttora un solo colpevole: il generale Hubert Lanz, capo del XII Corpo d'armata truppe da montagna della Wehrmacht dall'agosto 1943 all'8 maggio 1945, venne infatti condannato dal tribunale di Norimberga a 12 anni di reclusione, sebbene ne abbia poi scontati solo tre (la pena fu così mite perché, incredibilmente, nessuno si presentò da parte italiana a testimoniare al processo). Nel 1957 in Italia furono prosciolti (secondo alcuni per non danneggiare l'immagine dell'esercito) degli ufficiali della "Acqui" accusati di aver istigato gli uomini contro i tedeschi dando così origine ai combattimenti e sempre nello stesso anno si iniziò un altro processo nei confronti di 30 ex soldati tedeschi, risoltosi l'anno successivo con un nulla di fatto.

    Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Cefalonia#Le_perdite

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