In seguito all'occupazione da parte di Germania, Italia, Ungheria e Bulgaria (1941), si svilupparono in Jugoslavia due movimenti di resistenza in competizione tra loro: il movimento filomonarchico nazionalista dei Cetnici, guidato dal generale Mihajlovič, e i partigiani dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia - EPLJ, comandato da Josip Broz Tito, che invece puntava a realizzare una repubblica popolare di tipo socialista, con uguale partecipazione per tutte le etnie.
Grazie anche all'aiuto militare che da un certo momento in poi ricevette dall'Unione Sovietica e dalla Gran Bretagna, l'EPLJ si rafforzò progressivamente, e nel periodo finale della guerra i partigiani jugoslavi, equipaggiati finalmente con armi pesanti, divennero sempre più un esercito regolare che contribuì in modo decisivo alla liberazione dei territori occupati.
Anche molti militari delle forze armate italiane dislocate in Jugoslavia - una quindicina di divisioni - collaborarono con l'EPLJ.
Come è noto, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 i reparti italiani furono lasciati privi di direttive, inoltre era compromessa la rete dei collegamenti sia con l'Italia sia all'interno delle unità. I singoli comandanti reagirono così in modo diverso: le divisioni Zara, Isonzo e Ferrara si arresero ai tedeschi, anche se molti gruppi di militari di quei reparti scelsero di unirsi comunque ai partigiani jugoslavi. Altri corpi militari aderirono invece alla Resistenza.
A Spalato, i reparti italiani si costituirono nel Battaglione Garibaldi divenuto poi divisione. Sempre in Dalmazia furono costituiti i Battaglioni Garibaldi e Matteotti che diedero vita alla divisione Italia, la quale operò anche in Bosnia. Una divisione Garibaldi operò in Montenegro.
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