Alleanza cooperativa torinese - Act

  • Storia

    L'Alleanza cooperativa torinese fu costituita a Torino il 1 maggio 1899 dall'alleanza tra l'Associazione generale degli operai (Ago, già Società degli operai di Torino) e la Società cooperativa ferroviaria della stessa città; la prima era una società di mutuo soccorso sorta nel 1850 (nel 1854 aprì il suo primo magazzino alimentare con lo scopo di estendere le sue attività oltre il campo previdenziale), la seconda era una cooperativa di consumo fra ferrovieri agente dal 1874.
    Il patto tra le società unificava i due rami consumo e gli ambulatori sanitari, senza con questo incidere sull'autonomia di entrambe e sulle altre attività. L'alleanza mirava ad eliminare la concorrenza tra le due società e al contempo si prefiggeva di ridurre i prezzi al dettaglio, effettuando acquisti comuni di grandi quantità di derrate a condizioni più favorevoli.
    Il capitale versato per costituire l'Act fu di lire 355.768,70: cifra allora cospicua.
    L'azienda nasceva quindi su solide basi, come dimostra anche l'elenco dei servizi che ognuna delle società metteva in comune:
    l'Ago, otto distributori, un panificio con due forni, due farmacie con laboratorio, una macelleria, il consorzio sanitario, alcune istituzioni di carattere sociale, ricreativo ed educativo;
    la Cooperativa ferroviaria, sette distributori, un panificio con dieci forni e pasticceria, sei macellerie, l'enopolio, un negozio di stoffe, il ristorante, il magazzino generale e la scuderia.
    Una delle prime azioni, significative dal punto di vista commerciale, fu di aprire gli spacci anche ai non soci delle due società che complessivamente erano 10.128 al momento della fondazione dell'Act.
    Per quanto riguarda il sistema di cooperazione, l'Act decise di adottare quello rochdaliano, che, applicato in precedenza dalla Cooperativa ferroviaria, aveva dato buoni risultati.
    Sin dall'inizio l'Act sostenne economicamente il Partito socialista a cui elargì sovvenzioni in occasione di scadenze elettorali e a favore de e di altri giornali. L'Act destinò somme anche alle leghe sindacali e alla Camera del lavoro a sostegno di operai in sciopero. Tutto questo fu possibile grazie ai successi conseguiti con una felice politica commerciale che si fondava, laddove fattibile, sugli acquisti fatti direttamente presso i produttori e sulla vendita ai prezzi minimi correnti sul mercato, talvolta sottocosto quando si trattava del pane e dei combustibili: ciò mantenne alto e pressoché costante l'aumento delle vendite.
    Per tutto il periodo della guerra prevalsero tra i dirigenti dell'Act posizioni di neutralismo intransigente (come d'altra parte anche nel socialismo torinese), cosa che causò qualche problema di rapporti con le autorità locali riguardo agli approvvigionamenti, tuttavia senza conseguenze rilevanti per l'attività commerciale (grazie anche alle "buone conoscenze" del direttore generale Quirino Nofri, riformista/interventista).
    Nel dopoguerra si fecero più forti all'interno dell'Act le posizioni intransigenti e di sinistra, il che spiega l'ampio sostegno dato dalla cooperativa alle lotte del biennio rosso (1920-1922) con la concessione di contributi, prestiti, agevolazioni alle organizzazioni dei lavoratori coinvolti (in particolare alla Fiom durante l'occupazione delle fabbriche), e infine con la soluzione dei vari problemi annonari sorti durante le lotte.
    Dopo la scissione del Psi a Livorno nel 1921, che segnò la nascita del Partito comunista d'Italia, i comunisti guadagnarono la maggioranza nel Consiglio di amministrazione dell'Act (l'Ago ebbe al suo interno una maggioranza relativa di comunisti, mentre all'interno della Cooperativa ferroviaria vi fu una prevalenza socialista). Fra le figure più rappresentative comuniste si ricordano: Angelo Tasca, che fu segretario aggiunto, Giovanni Parodi, Giovanni Carsano, Umberto Terracini, Antonio Oberti. Tra quelle socialiste si ricordano: Oddino Morgari, Felice Vautero e Gino Castagno.
    Con l'avvento del fascismo l'attività dell'Act fu notevolmente limitata a causa dei danni provocati dagli attentati contro le sue strutture e dal conseguente ritiro da parte dei soci dei risparmi affidati alla sua Cassa depositi e prestiti, cosa che determinò una forte riduzione di denaro liquido. I rappresentanti della Cooperativa ferroviaria, seguiti a malincuore da quelli dell'Ago, preferirono consegnare l'azienda a un commissario prefettizio, sperando in tal modo di salvarla.
    Con regio decreto del 14 giugno 1923 l'Act fu trasformata in ente morale, dunque perse il suo carattere di cooperativa diretta da rappresentanti eletti democraticamente dai soci.
    Le prime azioni della nuova gestione si indirizzarono allo smantellamento di quelle strutture e attività che davano un carattere socialista alla cooperativa; in primo luogo fu devastato il palazzo dell'Ago, simbolo del proletariato torinese e sede della Camera del lavoro, seguito dalla soppressione delle attività sociali, site nello stesso edificio, quali teatro, biblioteca, caffè-birreria e ambulatorio medico.
    Tuttavia venne mantenuta e ampliata l'attività commerciale, secondo una politica che tendeva alla trasformazione ma non alla eliminazione di istituzioni sociali che tra l'altro potevano ampliare la base del consenso al regime.
    L'attività commerciale dell'Act in questo periodo si svolse prevalentemente nel campo alimentare e registrò un accrescimento nel numero dei negozi, dovuto all'assorbimento nell'azienda di molte cooperative fallite, - in attuazione anche di una politica di accentramento nell'Act delle strutture analoghe, torinesi e piemontesi - la cui massima espressione si ebbe nel 1933 con la fusione nell'Act dell'Ago e della Cooperativa ferroviaria.
    All'indomani della Liberazione l'Act fu condizionata da due ordini di fattori: il primo, l'essere diretta da amministratori quali Guglielmo Marcellino (del Pci) e Gino Castagno (del Psi), formatisi alla scuola dell'Act nei suoi anni migliori, e per questo nominati commissari dal Cln regionale piemontese, mentre da un altro lato l'azienda conservava il suo carattere non cooperativo a causa delle norme statutarie dell'ente morale imposte nel periodo fascista e ancora in vigore.
    In questo periodo ci fu un impegno dei commissari del Cln a fare riacquistare all'Act il suo stato giuridico di cooperativa, ma il tentativo non ebbe esito. Infatti, la nomina nel 1954 di un nuovo commissario governativo, il socialdemocratico Dramis, in sostituzione dei due commissari Marcellino e Castagno rifletteva la precisa volontà di arrestare lo sviluppo del discorso politico da essi avviato all'indomani della Liberazione. L'involuzione fu confermata dal nuovo statuto sociale, approvato con decreto presidenziale il 25 marzo 1958, n. 316. In realtà, la scelta fu frutto di un compromesso, che si realizzò in sede parlamentare, tra la richiesta del ritorno della proprietà ai soci e il mantenimento dello status quo commissariale: nonostante la parvenza di democraticità che si voleva dare, la nomina del consiglio di amministrazione avveniva in realtà soltanto parzialmente per elezione.
    Negli anni sessanta si pose il problema dell'ammodernamento delle strutture commerciali, a cui venne risposto con l'apertura di alcuni supermercati. Negli anni settanta, in presenza di difficoltà di mercato fu deciso di trasferire il settore alimentare nell'ambito della Coop Piemonte, a cui l'Act cedette i supermercati che gestiva nella città di Torino. Mantenne ancora il reparto enopolio, gestito da una società per azioni denominata Enocoop, con la partecipazione dell'Act e dell'Ente di sviluppo agricolo per il Piemonte (Esap). Invece il settore farmacie (otto farmacie e un laboratorio farmaceutico) fu gestito direttamente con marchio Act, fino a quando anch'esse furono cedute, in questo caso alla Città di Torino che le inserì nel suo circuito delle farmacie comunali. L'Act è stata liquidata definitivamente nel 2005.

    [Tratto da Aurelia Camparini, Renata Yedid Levi, L'Alleanza cooperativa nella storia del movimento operaio torinese, in Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte. Dalla ricostruzione ai giorni nostri, a cura di G. M. Bravo, A. Agosti, vol. IV, De Donato, Bari, 1981, pp.479-517]