A partire dal 1936, con il divieto di operare direttamente nel finanziamento del tessuto produttivo, la Sede di Genova perse una fonte importante di attività. Contemporaneamente la razionalizzazione del sistema creditizio seguita alle due leggi bancarie aveva comportato la progressiva riduzione degli intermediari aventi sede sul territorio: già nel 1936 le banche e le casse di risparmio insediate in Liguria erano 10, un quarto di quelle esistenti dieci anni prima. A esse si affiancavano due casse rurali e artigiane e 15 ditte bancarie (piccole banche a gestione familiare). Nel 1971 erano rimaste 7 tra banche e casse di risparmio e due ditte bancarie. Una tale contrazione, motivata anche dal ruolo assunto nel frattempo dai grandi istituti di credito piemontesi e lombardi nel finanziamento dell’economia regionale , ebbe riflessi sull’attività di vigilanza. Nel contempo, la Sede iniziò a operare attivamente quale “corrispondente” dell’IRI, seguendo le vicende delle società da quest’ultimo partecipate o finanziate, come evidenzia la fitta corrispondenza tra i due Istituti. Il crescente ruolo dello Stato nell’industria comportò per la tesoreria l’esigenza di gestire i flussi finanziari pubblici che intercorrevano con le imprese locali. L’attività del porto, costituita principalmente da flussi di commercio internazionale, richiedeva un importante impegno nei controlli valutari. Continuava a rivestire notevole importanza, atteso il rilievo degli scambi finanziari sulla piazza di Genova, la gestione delle Stanze di compensazione di assegni e titoli . Pur se la Banca non finanziava più direttamente la clientela privata, l’attività di risconto cambiario determinava l’esigenza di un patrimonio di soft information sulle imprese locali. La profonda conoscenza del sistema economico emerge dal fittissimo scambio di strutturati “bollettini di informazione” tra le Filiali, le Agenzie e le Rappresentanze estere della Banca, focalizzati sul reale merito di credito dei prenditori. L’evoluzione delle funzioni della Banca richiese la risistemazione degli spazi per adattarli al nuovo assetto delle attività. I locali destinati alla Stanza di compensazione erano ampi già all’epoca in cui venne progettato il Palazzo: a questo servizio era stato adibito uno dei quattro locali di sicurezza, servito da un apposito ascensore. Negli anni Quaranta i locali furono risistemati al primo piano ammezzato, accanto all’ufficio dei conti correnti, a sua volta ampliato per gestire il volume di attività che la Sede intratteneva con gli intermediari finanziari che avevano sede o recapito in città . Nel 1942, a fronte degli elevati livelli di domanda, il servizio di Tesoreria venne sdoppiato: le operazioni più strettamente raccordate all’attività della Stanza di compensazione continuarono a essere ospitate dal Palazzo, che seguitò ad assicurare la custodia dei valori di pertinenza del Tesoro. Una quota di attività fu decentrata presso uno stabile preso in locazione, in via Brigata Liguria; il personale ivi operante era di circa 80 unità, mentre nel Palazzo di via Dante lavoravano 140 persone . In quel periodo era altresì attiva l’agenzia di Sampierdarena, aperta all’inizio del secolo in locali di proprietà dell’Istituto; essa mantenne sempre un organico limitato, mai superiore a sette/otto persone. Al piano superiore dello stabile vennero realizzati interventi significativi. Con la legge bancaria del 1936 i privati erano stati estromessi dal possesso delle quote di partecipazione alla Banca, riservate a predeterminate categorie di enti finanziari pubblici: i locali destinati agli azionisti furono dunque adibiti a funzioni diverse. La Sala delle assemblee venne dedicata alle riunioni del Consiglio di reggenza; quella a fi anco, ove precedentemente si riunivano i reggenti, ospitò l’ufficio Sconti, che trovava così una collocazione più vicina a quella della Direzione la quale curava direttamente la gestione delle informazioni economiche e gli scambi di notizie con gli altri stabilimenti della Banca. I locali della Segreteria inglobarono parte dell’area destinata agli azionisti. Lo spostamento dell’ufficio Sconti permise di ampliare la superficie destinata ai Cambi. Già dagli anni Venti la Sede svolgeva funzioni di controllo valutario per conto dell’Istituto Nazionale per i Cambi con l’Estero (INCE); negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale al settore erano addetti circa trenta dipendenti. Nel dopoguerra, quando la gestione dell’attività fu attribuita all’Ufficio Italiano Cambi (UIC), sotto la presidenza del Governatore, la collaborazione assicurata dalla Sede conobbe nuovi sviluppi. La ripresa dell’attività industriale e degli scambi commerciali che avevano come fulcro il porto di Genova richiese l’impiego di numerose persone specializzate, in grado di svolgere le verifiche ispettive presso i singoli operatori. Negli anni Cinquanta, poi, l’incremento dell’attività indusse la Direzione genovese a proporre l’istituzione di un apposito ufficio in locali separati, come già realizzato a Napoli e Trieste. La proposta non ebbe seguito e l’attività continuò a essere svolta negli stessi ambienti del Palazzo in precedenza destinati all’ufficio Cambi, nei quali confluì anche il personale adibito alle funzioni di vigilanza. Le emergenze derivanti dalla guerra ebbero diverse ripercussioni sulla gestione della Sede e sul suo Palazzo. Già alla fi ne degli anni Trenta, in considerazione dell’eventualità di un conflitto, la Sede aveva preso accordi con le proprietà dei palazzi confinanti per la realizzazione di un rifugio antiaereo. Nel sottosuolo fra Via Meucci e Via D’Annunzio fu realizzato dalla società Rimifer un rifugio al quale si accedeva dagli scantinati dei palazzi della Banca d’Italia, del Credito Italiano e di aziende limitrofe (Rimifer, Gaslini, Ferromin, Ansaldo O.A.R.N., Siemens, Morteo, Ente Ricuperi Tolone); esso disponeva di servizi igienici, illuminazione con batterie di riserva, ventilazione forzata e una pompa per l’estrazione dell’acqua. Nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, venne valutata l’opzione – poi abbandonata – di trasferire parte dei valori in zone più interne, ritenute meno esposte, quali Voghera o addirittura L’Aquila, dove prima dello scoppio delle ostilità la Banca aveva spostato le officine per la stampa dei biglietti. Nel 1943, a seguito degli attacchi aerei che colpirono il centro cittadino e il porto, la Direzione, d’intesa con il Prefetto, valutò l’ipotesi di spostare una parte dell’attività in Valpolcevera, nell’entroterra genovese. Anche questo progetto venne accantonato. Alle difficoltà di reperire locali adeguati si aggiungevano considerazioni di opportunità: citando un documento di archivio riservato dell’epoca, per garantire i servizi indispensabili “la Banca e la Tesoreria, in qualunque situazione, dovranno funzionare nel centro della città o negli immediati sobborghi”. Si trattava di un obiettivo difficile, visti gli sfollamenti dei civili, degli operatori con cui la Sede intratteneva rapporti quotidiani e di buona parte delle famiglie dei dipendenti. he decorano il salone del pubblico vennero rimosse e spostate nei locali di sicurezza. Tale intervento fu provvidenziale poiché gli scoppi di ordigni caduti nelle vicinanze del Palazzo danneggiarono le vetrate del salone, che sarebbero state in parte sostituite. Con i valori custoditi nei locali di sicurezza la Banca fece fronte alle crisi di liquidità che si manifestarono nel corso del conflitto, rifornendo non solo gli intermediari e gli altri operatori economici di Genova, ma anche gli stabilimenti della Banca situati lungo la riviera di ponente e nel basso Piemonte. Subito dopo la liberazione della città, nel Palazzo venne allestito l’ufficio del maggiore M.H. Haigh-Wood, Ufficiale regionale finanziario dell’esercito alleato. Giunto a Genova alla fine di aprile, munito di una lettera di presentazione del Direttore Generale Niccolò Introna, egli tenne nei locali della Sede diverse riunioni con i Direttori delle banche della piazza e incontrò i funzionari preposti agli Uffici finanziari cittadini per coordinare le disposizioni di carattere economico-finanziario predisposte dalle autorità alleate. Un importante problema del dopoguerra fu la carenza di personale qualificato, specie per l’ufficio Cambi e per talune attività di Tesoreria. Le sottoscrizioni dei buoni del Tesoro comportarono un forte aggravio di lavoro, al punto che si rese necessario provvedere a turni di lavoro anche fra le 21 e le 24. Questa situazione mutò nel corso degli anni Cinquanta, a seguito della cessazione del servizio di pagamento diretto delle pensioni: si crearono così le condizioni per riportare nel Palazzo della Sede i servizi svolti dall’Agenzia di Sampierdarena (chiusa nel 1958) e quelli di Tesoreria espletati dallo stabilimento di via Brigata Liguria (chiuso l’anno successivo). A fronte di questo accorpamento venne valutata la possibilità di una sopraelevazione del Palazzo, portandone l’altezza al livello dell’adiacente edificio del Credito Italiano. L’intervento avrebbe consentito di ampliare gli uffici senza rinunciare agli alloggi locati a terzi; si sarebbe inoltre potuta sostituire con un tetto la copertura a terrazza, eliminando “il ricorrente inconveniente delle infiltrazioni d’acqua”. Questa opzione non fu poi perseguita; si decise invece di supplire alle nuove esigenze di spazio con varianti alla distribuzione degli uffici, effettuando “un completo e razionale riordino dei vetusti impianti elettrici della Sede”, comprensivo del rinnovo dei lampadari. Gli interventi si inquadrarono nel progetto di revisione e riqualificazione degli immobili varato dalla Banca. Gli edifici sparsi sul territorio presentavano diverse carenze funzionali: ai danni derivanti dal conflitto si aggiungeva la forzata sospensione delle manutenzioni, ancora prevalentemente condotte da personale inquadrato nei ruoli della Banca. La zona circostante il Palazzo subì nell’anteguerra gli ultimi profondi mutamenti. A lato dell’edificio, all’altezza del giardino pubblico realizzato nel decennio precedente, il Piano regolatore comunale del 1937 aveva previsto la prosecuzione di Via Dante e la realizzazione dell’omonima piazza. Il risanamento della zona avrebbe accresciuto la protezione e la sicurezza sul fi anco orientale del Palazzo, sin dall’origine considerato con attenzione dai responsabili della Sede per le problematiche della movimentazione dei valori. Nell’antico quartiere di Portoria furono dunque demolite le case intorno a piazza Ponticello, come la superstite palazzata sul lato sud del vico omonimo. Nello spazio così creato vennero innalzati edifici in stile razionalista, tra cui due grattacieli: quello costruito su progetto dell’architetto Piacentini fu per alcuni anni l’edificio in cemento armato più alto d’Italia. Verso levante, la galleria Colombo, passando sotto al colle di Carignano, offrì un collegamento alternativo a via XX Settembre tra il centro e piazza della Vittoria, interessata dai lavori previsti dal medesimo piano regolatore. Da allora la zona attigua al Palazzo della Sede assunse la configurazione che ancora oggi mantiene. L’unica variazione di rilievo riguarda il terreno immediatamente adiacente al lato est dell’edificio, che la Banca avrebbe provveduto a chiudere e risistemare a seguito di nuovi accordi con il Comune, che superarono la concessione a titolo precario ottenuta negli anni Venti.