Almo Baracchini è stato un patriota di Carrara (MS). La sua figura è legata indissolubilmente a una delle pagine più tragiche della storia locale, la terribile strage di Bardine di San Terenzo, presso Fivizzano (MS), il 19/08/1944.
Su questa pagina sconvolgente della storia apuana Baracchini, divenuto nel dopoguerra professore di educazione fisica e pluridecorato, ha contribuito alla redazione del volume di Galletto Lido, "La lunga estate. Ricordi e documenti di un partigiano sulla Linea Gotica Occidentale" redigendo il capitolo "La sepoltura delle vittime dell'eccidio di Bardine a San Terenzo. Comune di Fivizzano, 21 agosto 1944", pubblicato nel 1996 a Carrara da Ceccotti Editore. Una sua copia è conservata nel Fondo "Giannecchini-Toscano", busta 5, fascicolo 2 presso l'Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea, Ilsrec, di Genova. In detto capitolo Baracchini narra dunque l'avvenimento.
Il 17 agosto giunge in San Terenzo un camion delle SS proveniente da Soliera ed i tedeschi iniziano i saccheggiamenti. Di fronte alle razzie, 20 partigiani carraresi della formazione ex-gappista "Giuseppe Ulivi" più il paracadutista "Jack" decidono di affrontare la vettura quando avrebbe imboccato la strada del ritorno verso Soliera. Una volta giunto il camion inizia l'attacco ed i nemici vengono tutti massacrati tranne uno, ferito ma in grado di raggiungere il proprio comando a piedi. La risposta tedesca non si fa attendere ed il 19 arrivano a San Terenzo alcune camionette di nazifascisti comandati dal maggiore SS Walter Raeder; i suoi uomini rastrellano le case ed invitano gli abitanti ad uscire all'esterno sotto un pergolato. Dopo due ore il rastrellamento è completo e Raeder dà l'ordine di uccidere tutti i 107 presenti: adulti, anziani e bambini. I corpi già falcidiati vengono freddati con un colpo in testa per assicurarne la morte e dal massacro si salva solo Clara Cecchini di 8 anni, ferita dai proiettili a torace, caviglie e braccio sinistro ma rimasta nascosta sotto i cadaveri dei genitori e ricoperta di sangue tanto da sembrare morta anch'ella. La bambina entra nelle case dei vicini per cercare aiuto ed acqua, ma trova solo cadaveri; successivamente viene portata all'ospedale di Fivizzano e curata.
Le 53 persone impiccate a seguito del rastrellamento di Valdicastello che Almo Baracchini ha recuperato e sepolto sono relative ad un ulteriore massacro nazista avvenuto nel pomeriggio del medesimo giorno. I militari fanno deviare un camion di civili catturati, ne prelevano appunto 53 e li impiccano con il filo spinato per raggiungere il numero di 160, pari a 10 italiani per ogni soldato tedesco ucciso. I 107 civili uccisi sono appena stati sepolti ed ora bisogna pensare alle nuove vittime. L'impresa è pericolosa e complessa: i paesani hanno dato sepoltura ad oltre un centinaio di persone e sono psico-fisicamente distrutti. Si deve dunque reclutare altre persone per sistemare i cadaveri, al momento irriconoscibili per via del caldo torrido che ne ha aggravato la decomposizione; ma i cartelli con scritto "Chi darà sepoltura ai cadaveri sarà passato per le armi" scoraggiano i più. Per abbreviare i tempi, il 21 agosto Almo Baracchini si munisce di piccone e badile e senza attendere nessuno si avvia verso Bardine, sperando che qualcuno lo segua: la sua speranza viene esaudita e si rende conto di essere accompagnato da circa 20 persone tra cui padre Lino Corrado Delle Piane. In poco più di due ore viene scavata la prima ampia fossa e, prima di deporre le salme, Baracchini scatta fotografie ai morti avvolti ormai da un fetore insopportabile e marcescenti, per non fare dimenticare l'osceno gesto ed i volti dei caduti in caso di riconoscimenti. E' necessario scavare un'altra grande tomba in quanto la prima si è rapidamente riempita e così tutti i caduti, trasportati con carretti o su spalla in condizioni di terribile decomposizione, ottengono sepoltura.
L'incubo tuttavia non finisce: il 24 agosto altre camionette cariche di SS e Brigate Nere invadono nuovamente i paesi della zona e comportandosi come vandali, uccidendo chiunque incontrino ed incendiano quasi tutte le case delle piccole località. Baracchini, la sua famiglia ed alcuni altri pensano di allontanarsi temporaneamente da Posterla e nascondersi a Marciaso, frazione da raggiungere transitando nella cosiddetta "zona nera" in quanto a chiunque è vietato l'accesso pena immediata fucilazione; anche Marciaso è stata data alle fiamme ma le truppe se ne sono allontanate, e ciò consente ai fuggitivi un minimo di riposo all'interno di una carboniera. Il gruppo torna infine a Posterla ma la trova quasi totalmente bruciata: eppure loro sono sopravvissuti, e recuperano gradualmente le attività della loro vita fino alla Liberazione.
Nel dopoguerra Baracchini ha consegnato le fotografie dell'orribile strage ed oggi sono conservate nell'Archivio Storico della Resistenza a Firenze e nella sede dell'Anpi di Carrara.