Squadrista nero genovese appartenente ai fascisti della "prima ora". E' stato segretario del fascio di Genova dal 1923 al 1924, comandante della 31o legione della Mvsn, membro della direzione nazionale del Pnf dall’agosto 1924 al giugno 1925, vicesegretario nazionale dal luglio 1926 all’aprile 1927.
La marcia su Roma non pone fine all’illegalismo di matrice squadrista. L’assunzione delle responsabilità di governo da parte di Mussolini e del fascismo apre nuove problematiche, visto che ora a essere chiamati a mantenere l’ordine pubblico sono proprio coloro che fino a qualche giorno prima avevano incitato alla rivolta contro un governo e un sistema politico ritenuto ormai decrepito. In questo contesto, se le violenze delle squadre fossero continuate come ai tempi della vigilia, il governo Mussolini si sarebbe trovato in serio imbarazzo. D’altra parte, liquidare lo squadrismo avrebbe significato per il fascismo privarsi di un puntello importante del proprio potere e di uno strumento di pressione decisivo nel definire i nuovi equilibri
politici. In quest’ottica si situa la creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che nasce come risposta al desiderio di irreggimentare lo squadrismo, limitarne le spinte centrifughe e rinsaldarne la disciplina. Al tempo stesso, l’irreggimentazione delle squadre nella Mvsn è frutto della consapevolezza del valore centrale della violenza di matrice squadrista come strumento per consolidare la posizione del presidente del Consiglio, imporre il consenso e radicare la conquista del potere. L’istituzionalizzazione dello squadrismo attraverso la Milizia è innanzitutto un modo per inserire organicamente il braccio armato del fascismo all’interno dello stato liberale. Il connubio tra violenza legale e violenza illegale si fa più stretto che mai.
A Genova la commistione tra vecchio e nuovo squadrismo è particolarmente stretta, dal momento che a guidare la locale legione della Mvsn sono alcuni veterani della vigilia, come Gigetto Masini, Gian Gaetano Cabella e proprio Gerardo Bonelli. Tra le formazioni che nel capoluogo ligure si distinguono per la loro intransigenza e per il potenziale violento e intimidatorio c’è la squadra Vola, nata come squadra del fascio nel 1921 e per molti anni protagonista indiscussa dello squadrismo genovese. Inglobata nella Milizia quale centuria della 31o legione genovese, la Vola viene posta agli ordini di Gian Gaetano Cabella, che la guida né più né meno come fosse una squadra d’azione della vigilia. Gravi incidenti di cui loro sono responsabili si susseguono numerosi. Davanti a disordini di tale portata, questura e prefettura non esitano a ordinare l’immediato scioglimento della squadra e la procura di Chiavari intenta un procedimento contro Cabella e Bonelli, il segretario del fascio di Genova. In realtà, la repressione si rivela un fuoco di paglia. Bonelli e Cabella sono prosciolti da ogni accusa e la Vola di lì a poco risorge come Circolo Sportivo Vola, mantenendo inalterato organigramma e componenti. La Vola rappresenta a lungo la più intransigente delle squadre genovesi e il fulcro del potere politico del segretario del fascio Bonelli. La crisi seguita all’omicidio di Giacomo Matteotti e l’assunzione della segreteria del Pnf da parte di Roberto Farinacci apre la porta a una vera e propria «seconda ondata» dello squadrismo. Tra 1922 e 1926 gli episodi di violenza sono all’ordine del giorno e contribuiscono a creare un vero e proprio clima di terrore; l'impunità è garantita dal controllo delle massime cariche provinciali e dalla benevola accondiscendenza da parte dello stesso governo.
Attorno a Bonelli, e al radicalismo di cui si fa promotore, si configura dunque un sistema di potere solido e organico. Il ricorso alla violenza organizzata di matrice squadrista si sviluppa con altrettanta forza anche all’interno del movimento. Il controllo delle squadre e la violenza si rivelano due importanti risorse della «competizione infrafascista», cui lo stesso Bonelli non può rinunciare se vuole mantenere il potere politico locale conquistato durante la «rivoluzione». Il ricorso all’arma dello squadrismo travalica le correnti interne al Pnf. Le pratiche squadriste della vigilia rendono pressoché imprescindibile il ricorso alla violenza. Anche Alessandro Lessona, federale di Savona, che pure ha fama di moderato, ben presto «cominciò a trovare gradevoli i metodi del Fascismo», tanto da patrocinare la ricostituzione di alcune squadre da opporre alle camicie nere genovesi di Bonelli.
Bonelli riesce a consolidare la propria posizione non solo per le frequenti azioni contro circoli operai e oppositori, ma anche per essere stato il braccio armato della repressione contro il gruppo dissidente guidato da Massimo Rocca. Proprio per i pestaggi e le intimidazioni contro Massimo Rocca e i suoi sostenitori, nell’autunno 1923 il capo della pubblica sicurezza, l’ex quadrumviro Emilio De Bono, ordina al prefetto di Genova di procedere all’arresto di Bonelli, che viene rinchiuso nel carcere di Savona. Dell’importanza dello squadrismo per arginare ogni forma di dissenso sono consapevoli anche a Roma, tanto che è proprio De Bono a ordinare qualche settimana dopo la scarcerazione di Bonelli «per ragioni di opportunità politica». E da quel momento la carriera di Bonelli conosce un’importante accelerazione: segretario del fascio di Genova dal 1923 al 1924, comandante della 31o legione della Mvsn, membro della direzione nazionale del Pnf dall’agosto 1924 al giugno 1925, vicesegretario nazionale dal luglio 1926 all’aprile 1927. Poi però la carriera termina bruscamente: Bonelli viene infatti espulso dal partito; vi rientrerà solo nel 1940.
Il 31 ottobre 1926, Mussolini è vittima a Bologna di un tentativo di omicidio da parte del giovane Anteo Zamboni. Il duce ne esce illeso, mentre il giovane attentatore è linciato sul posto dalla folla. Il 3 novembre il ministro dell’Interno Luigi Federzoni stende il nuovo Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, volto a fornire allo stato gli strumenti per attuare una repressione sistematica e preventiva di ogni forma di dissenso. Le implicazioni dell’introduzione della nuova normativa repressiva si ripercuotono pesantemente anche all’interno del mondo fascista. Paradossalmente, infatti, la legalizzazione dell’illegalismo fascista toglie allo squadrismo la propria utilità e legittimazione, due attributi che si erano rivelati indispensabili per spiegarne la sopravvivenza politica negli anni successivi alla marcia. In questo contesto, Genova rappresenta un caso emblematico. Per la prima volta un’epurazione interna al partito viene portata avanti ricorrendo al nuovo strumento del confino di polizia. Non ci si limita infatti al tradizionale cambio della guardia ai vertici del fascio cittadino e della federazione o a qualche espulsione dal Pnf. A Genova, alcuni tra i più efferati squadristi vicini a Bonelli vengono condannati al confino, mentre Bonelli stesso viene processato dalla magistratura.
Il 24 maggio 1926, con Mussolini in visita ufficiale nel capoluogo genovese, uno scontro tra gli squadristi genovesi di Bonelli e i camerati spezzini non viene perdonato. Il segretario del Pnf Augusto Turati decide l’azzeramento di molte cariche federali e della milizia in tutta la provincia di Genova. Il 28 luglio Bonelli è nominato vicesegretario del Pnf, «a disposizione» di Turati «per funzioni continuative di ispezione e di controllo». L’obiettivo è chiaro: lusingare il leader genovese con un incarico poco più che onorifico in cambio del suo allontanamento da Genova. Di fatto, il tentativo fallisce: Bonelli non si adegua a una grigia carriera burocratica e mantiene più forti che mai i legami con la città e con i suoi squadristi.
In occasione dell’attentato Zamboni del 31 ottobre 1926, in molte città italiane sembrano riviversi i momenti della vigilia: vengono prese d’assalto le abitazioni di esponenti antifascisti, si inscenano proteste violente, si verificano scontri tra squadristi e forze dell’ordine. Gravi disordini si verificano anche a Genova, dove la base squadrista è decisa a far definitivamente piazza pulita di ogni residua forma di opposizione e a sfruttare l’attentato per un’azione repressiva su larga scala. Fulcro dei disordini è via Roma, dove decine di squadristi assediano l’abitazione dell’ex deputato socialista Francesco Rossi, protetta da un cordone di carabinieri e guardie di finanza. Approfittando della confusione, Vittorio Nizzola, uno squadrista della Vola, entra nel palazzo per intrufolarsi negli uffici della ditta Rebora e Beuf, e rubare la cassa. All’interno viene sorpreso dal carabiniere Elia Bernardini, che Nizzola non esita a freddare con un colpo di pistola. Scoperto il cadavere di Bernardini, l’élite radicale della città, a cominciare da Bonelli fino alle autorità politiche e militari, sono tutti concordi sulla necessità di insabbiare subito l’accaduto. Nessun nesso deve essere stabilito tra la morte di Bernardini e i disordini provocati dagli squadristi. La dissimulazione raggiunge il culmine durante le esequie di Bernardini; a condurre il corteo funebre è infatti Bonelli in persona, «scintillante egli stesso nella divisa nuova dell’ufficiale italiano della Milizia Nazionale». Durante il processo che nel maggio 1929 vede Bonelli e Masini imputati di aver favorito la fuga di Nizzola, gli accusati ribadiscono con forza che l’ordine di insabbiamento è arrivato da autorità «gerarchicamente superiori» a Bonelli, allora vicesegretario del Pnf. Nel marzo 1927, dopo varie traversie e peregrinazioni, Nizzola viene fatto imbarcare, con tanto di documenti falsi forniti da Bonelli, sul piroscafo Conte Verde, con destinazione Sud America, dove se ne perdono le tracce.
Inizialmente Turati e Mussolini riconfermano la fiducia ai gerarchi genovesi; nel gennaio 1927, Turati invia a Genova, nelle vesti di commissario straordinario per la federazione, Lare Marghinotti, con l’ordine di procedere a una radicale e severa epurazione. Bonelli si dimette da vicesegretario del Pnf e, tra il novembre 1926 e l’aprile 1927 Bonelli e «bonelliani» godono quindi ancora di un certo spazio di manovra, tanto da avere tutto il tempo di far espatriare Nizzola. Nell’aprile 1927 prende avvio un’ampia epurazione nelle file del fascismo genovese, che è l’archetipo per altre azioni simili che coinvolgeranno, di lì a pochi mesi, le principali roccaforti dello squadrismo italiano. Solo separando Bonelli dalla sua base squadrista sarebbe stato possibile consolidare la svolta «moderata e alto-borghese» nella guida della provincia ligure.
Non a caso, infatti, al termine dell’inchiesta Marghinotti, la carica di federale viene attribuita al marchese Federico Negrotto Cambiaso. Il 23 aprile 1927 Bonelli viene costretto alle dimissioni, ma le espulsioni non placano i rancori dei vecchi squadristi, che continuano a commettere violenze e provocazioni.
Il processo che si apre nel maggio 1929 vede tra gli imputati Bonelli, Masini e altri squadristi genovesi accusati di aver favorito la fuga di Nizzola in Sud America.; un mese dopo la condanna è ad un anno e cinque mesi per Bonelli ed altri ma la sentenza viene annullata in appello un anno dopo. Ancora nel 1930 il questore ammette che «Bonelli a Genova ha sempre un seguito di fedeli nell’elemento dei vecchi fascisti (squadristi)» anche se ormai questo gruppo è «molto esiguo». Nel marzo 1940 ci sono ancora goliardi e vecchi squadristi che durante un comizio di Roberto Farinacci, oltre a inneggiare a «Farinacci ministro dell’Interno», urlano «Viva Bonelli». In ogni caso, l’ex vicesegretario del Pnf è assolto in appello anche se di fatto viene emarginato dalla vita politica fino al 1940. Molto meglio va ai suoi squadristi confinati. Di fronte a una pena originaria di tre anni di condanna, i «bonelliani» passano al confino in media 156 giorni.