Con casa del Fascio, casa Littoria o casa del Littorio, si intendono gli edifici che erano sedi locali, dislocate nei comuni d'Italia, del Partito Nazionale Fascista. Nei centri urbani importanti presero la denominazione di palazzo del Littorio o palazzo Littorio. Durante il periodo della dittatura fascista il governo fece costruire, come sedi del PNF, edifici ad hoc, una stima calcola che ne venissero realizzati circa 5.000[1], alcuni adattando strutture esistenti, e altri creati ex-novo. Tra questi ultimi se ne contarono molti realizzati da architetti del movimento razionalista, tra i quali Adalberto Libera, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni, Giuseppe Samonà e Giuseppe Terragni, mentre altri furono costruiti secondo le tendenze storiciste e "novecentiste". Le case del Fascio istituite furono in tutto circa 11.000. Non tutte furono ospitate in edifici costruiti ad hoc, anzi, la maggioranza, soprattutto nei centri minori, fu istituita semplicemente affittando, acquistando o acquisendo in uso edifici esistenti, non di rado senza neanche condurre significative ristrutturazioni funzionali ed estetiche, pur previste in diversi casi[2]. La casa del Fascio divenne un elemento irrinunciabile nelle successive città di fondazione e in molti dei nuovi borghi rurali, assieme alla chiesa e al municipio, in quelli destinati a essere eletti a comune. Oltre che in Italia, tali edifici vennero costruiti anche nelle colonie, dall'Africa al Dodecaneso. Durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana alcune diventarono sedi del Partito Fascista Repubblicano (1943-1945), erede del Partito Nazionale Fascista. Nel secondo dopoguerra, tali immobili furono devoluti allo Stato per effetto delle disposizioni contenute nell'articolo 38 del DLL 27 luglio 1944, n. 159, recante "Sanzioni contro il fascismo".