Cresci, Umberto

  • Biografia

    La Seyne sur Mèr in Francia divenne un luogo di riferimento per un gruppo di fuoriusciti legati a una famiglia del paese di Arcola, sulle colline spezzine ai confini con la Toscana, i coniugi Umberto Cresci e Silfide Carro.
    Entrambi anarchici, si erano resi noti durante l’occupazione delle fabbriche negli anni ’20 per la loro propaganda contestatrice, prendendo parte alle manifestazioni e dimostrandosi l’uno tra i compagni di
    fabbrica, alla Fiat San Giorgio di La Spezia, l’altra tra le sarte, sottopagate, capaci sobillatori e istigatori alla partecipazione attiva alle proteste e alla sovversione.
    Umberto scriveva sul giornale Il Libertario, che la moglie leggeva scrupolosamente, e teneva corrispondenza con anarchici in Italia e all’estero. Nel dicembre 1922 Cresci fu sorpreso nell’organizzare un attentato terroristico antiborghese contro un treno di lusso che doveva attraversare il tratto ferroviario tra Arcola e La Spezia. L’attentato fu sventato e il Tribunale di La Spezia comminò a Cresci, nell’agosto ‘24, diciotto anni di carcere. Frattanto la moglie Silfide si era ritrovata disoccupata, licenziata dal fornitore presso cui lavorava come cucitrice perché affetta da tisi, costretta a svolgere qualche lavoro a domicilio per cercare di mantenere i tre figli. La rete anarchica si attivò immediatamente per inviarle soccorsi in denaro
    in quanto vittima politica e nell’agosto del 1926, grazie alle sottoscrizioni in suo favore, la donna riuscì ad emigrare in Francia con i figli, stabilendosi a La Seyne sur Mer, nei pressi del porto, zona abitata da immigrati spezzini. Almeno per i primi anni, la preoccupazione di Silfide fu quella di assicurare il mantenimento della famiglia e così l’attività politica venne sacrificata per salvaguardare i propri figli. Sarebbero passati molti anni perché la Carro potesse ricongiungersi al marito in Francia. Ma la donna fu in grado, con le proprie risorse, di mettersi in contatto con la rete anarchica spezzina e di inserirsi in un
    milieu di solidarietà politica e compaesana, collegandosi alle conoscenze di Ugo Boccardi “Ramella”.
    Furono proprio i compagni di fede a fornirle il sostegno economico e morale più importante, libertari spezzini legati alla grande comunità anarchica radicata in Francia e rafforzata dalle reti dell’antifascismo, anche se nei momenti di maggiore crisi potevano rompersi le maglie della catena del soccorso politico.
    In Francia, come ricordato da Manfredonia, si era ricostituita l’“Unione Anarchica Italiana” già nei primi anni Venti, ed era a questa rete che i responsabili dei gruppi locali, come Boccardi, o i fruitori del soccorso alle vittime del fascismo, come Silfide Cresci, facevano riferimento. L’“Unione” si era composta attraverso l’arrivo dei primi fuoriusciti e con l’afflusso di chi si era ingaggiato nelle legioni garibaldine e di chi se ne era staccato, come Tintino Rasi e Paolo Schicchi, mentre maturavano al suo interno altre divisioni tra individualisti e sindacalisti. Fu Gigi Damiani, leader storico dell’anarchismo italiano accanto a Malatesta, uno dei più giovani esuli di età crispina assieme a Binazzi, installatosi a Marsiglia dopo il fallimento
    degli attentati del 1926, a dedicarsi strenuamente a combattere le diatribe intestine per convogliare le energie verso un’azione concreta, riuscendo a pubblicare dall’anno seguente il foglio Non molliamo - nome che evoca il “Non mollare” di rosselliana memoria ma con il quale non pare vi fossero affinità di contenuti
    né contatti redazionali; secondo Tombaccini e Manfredonia, Non molliamo era destinato al lavoro di agitazione in Italia e dunque inviato in buste anonime, nascosto nei fondi di valigia dei migranti o fatto espatriare con la collaborazione dei passeurs. L’inasprimento del regime con le leggi del ’26 aveva portato ad una nuova ondata di espatri e Damiani nel Midi, assieme a Fabbri, Berneri e Damiani furono gli uomini di punta del movimento libertario che cercarono di rilanciare la causa attraverso la propaganda presso la colonia italiana e di chiarificare progetti e teorie, tenendo conto della nuova situazione che si era creata in Italia, colmando anche il vuoto delle pubblicazioni soppresse dalla censura fascista.
    Il giornale ebbe vita breve a causa dell’assenza di fondi e della censura, e infatti l’intero gruppo redazionale parigino fu espulso nel ’29, ma rimase l’importante lavoro di propaganda e di presa di coscienza che compì sugli esuli libertari, che ben presto ricomparvero sulle stampe con La Lotta Umana e con il bollettino del “Comitato internazionale di difesa anarchica”. La Lotta Umana si distinse per la serietà della conduzione del dibattito politico, dell’informazione sul carattere del regime, e del confronto, raro caso di giornalismo di alto valore intellettuale tra la stampa fuoriuscita; ma anche per l’intransigente campagna denigratoria della “Concentrazione Antifascista”, un’istituzione che, come vedremo, raggruppava le forze democratiche e moderate dell’antifascismo. Sulla Lotta Umana scrivevano,
    da Parigi, Luigi Fabbri, Camillo Berneri, Gigi Damiani. Furono quelli gli anni in cui la stampa libertaria si dedicò con ardore e tenacia al caso di Sacco e Vanzetti, una campagna già diffusa in Francia dal 1923, ma che nel corso del 1926-1927 acquisì un posto di rilievo nel discorso pubblico francese, coinvolgendo intellettuali e politici che denunciavano al mondo intero l’“affare Dreyfus della polizia americana”.
    Il lascito più importante della Lotta Umana fu poi quello di riuscire nell’obiettivo di riorganizzare il movimento in Francia, e infatti nel 1930 si costituì l’“Unione Comunista Anarchica dei Profughi Italiani” (Ucapi, poi Fcapi), che non si poneva più l’obiettivo di formare gruppi armati per un’azione imminente, dopo l’esperienza delle legioni garibaldine, ma piuttosto di appoggiare movimenti a carattere insurrezionale; a differenza dei comunisti, la propaganda in Italia non era concepita dagli anarchici per minare le basi del consenso al regime, ma a scopo
    di agitazioni finalizzate ad azioni sovversive e terroristiche. Tuttavia, con l’acuirsi della reazione in Italia, i militanti libertari si ritrovarono isolati nelle comunità d’origine, privi di reti di sostegno, e l’intransigenza dottrinale del movimento che precludeva qualsiasi forma di alleanza con i partiti antifascisti contribuì ad amplificare il senso di emarginazione dei militanti dalla lotta concreta. Se in Francia gli anarchici italiani poterono rappresentare una forza politica di peso, che accrebbe la sua influenza e credibilità nel corso dell’esperienza spagnola, in Italia, dove avrebbero potuto appoggiarsi a reti strutturate come quella comunista, spiega Manfredonia, il movimento, perduti i contatti, si dimostrò incapace di un’azione concreta.
    Tra il Var e le Bouches-du-Rhône si stabilì poi ancora un’altra famiglia Carro, proveniente da La Spezia, composta da due fratelli capofamiglia, Domenico e Ruggero, e dal figlio del primo, Bruno, con al seguito le proprie mogli. Il primo
    a partire fu Domenico, precocemente, già nel 1921, quando si installò a SaintRaphaël, nel Var, dopo essersi messo in mostra nella città di origine come propagandista comunista. Trovò lavoro come fabbro e inizialmente non si dedicò
    molto all’attività antifascista, ma una volta stabilizzatosi economicamente riprese le sue battaglie. Assieme a lui vivevano la moglie e il figlio Bruno, che frequentò le scuole francesi fino ai tredici anni, integrandosi nella società locale. Svolse poi numerosi mestieri, cambiando spesso impiego, come operaio, commesso, cameriere, meccanico, adattandosi all’offerta del momento e accontentandosi di compiti in cui non era richiesta una qualifica professionale.
    Lo zio Ruggero era espatriato invece un anno dopo, nel 1922, anch’egli per sfuggire alle rappresaglie fasciste per aver partecipato alle manifestazioni sovversive, in particolare anarchiche, a La Spezia. Si installò a La Ciotat, nelle Bouchesdu-Rhône, e solo cinque anni dopo riuscì a farsi raggiungere dalla famiglia, probabilmente poiché, a differenza del fratello Domenico, decise di dedicarsi fin dagli inizi della migrazione all’attività politica, il che avrebbe messo in pericolo moglie e figli. Divenne infatti amico e compagno di fiducia di Paolo Schicchi, il celebre anarchico palermitano portavoce della tendenza anti-organizzatrice nell’anarchismo italiano, e si mise presto in mostra come propagandista capace di compiere attentati.


    http://bdr.parisnanterre.fr/theses/internet/2015PA100079/2015PA100079.pdf

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