La Federazione dei Fasci Femminili fu la sezione femminile del Partito Nazionale Fascista (PNF), fondata nel 1919 e sciolta nel 1945.
Con l'avvento del fascismo la donna perdette progressivamente i suoi diritti sociali e politici. Venne via via espulsa dal mercato del lavoro: nel 1919 fu loro impedito di ricoprire ruoli dirigenziali nell'amministrazione pubblica; il diritto al voto amministrativo, sebbene con molte limitazioni, sancito dalla legge 22 novembre 1925 n. 212, fu una vana conquista, poiché dopo pochi mesi le elezioni amministrative furono abolite e il sindaco sostituito dal podestà; nel 1926 fu loro vietato di insegnare storia, filosofia e letteratura italiana nelle scuole superiori. Nel 1933 fu stabilito che gli uomini dovessero essere assunti in ruoli superiori a quelli delle donne. Nel 1934 fu loro vietato di assumere il ruolo di segretario comunale e nel 1938 fu imposto che le donne non potessero essere più del 20% del personale delle amministrazioni pubbliche. La politica del partito fascista, mentre allontanava la frazione sociale femminile dalla vita sociale e politica, puntava a irreggimentarla nella sua ideologia che le assegnava principalmente il ruolo di moglie e madre.
Durante gli anni '20, le donne attive all'interno del Partito Nazionale Fascista erano per lo più istruite e di classe media. Le ragazze venivano istruite attraverso la creazione di gruppi giovanili, separati per classi di età, quali le Piccole Italiane (per le ragazze di 8-14 anni) e le Giovani Italiane (14-18 anni), dipendenti dall'Opera Nazionale Balilla. Per le giovani dai 18 ai 21 anni vennero fondati i Gruppi giovani fasciste, sotto la responsabilità dei Fasci Femminili. Per entrare a far parte dei Fasci Femminili le donne dovevano avere almeno 21 anni ed essere italiane, di sicura fede fascista e di buona condotta morale.
Nel 1929 la Federazione dei Fasci Femminili fu trasformata da movimento politico minoritario a organizzazione di massa, perse ogni autonomia politica e venne inquadrata nella organizzazione del Partito come mezzo atto a indottrinare le donne all'ideologia fascista e per mobilitarle a sostegno del partito. La macchina della propaganda ebbe un ruolo essenziale nel proporre da un lato il modello della donna dedicata ai figli, al marito ed alla casa, dall'altro quello della forte sostenitrice della patria attraverso la maternità (in quanto "fattrice di futuri soldati" per il suo Paese), l'assistenza e la produzione di prodotti nazionali per sostenere l'autarchia. Nel 1939 i Fasci Femminili contavano 750.000 iscritte; alla vigilia della Seconda guerra mondiale circa 3.180.000 donne possedevano la tessera dell'organizzazione.
La Consulta, presieduta dal segretario del Partito, era l'organo centrale dell'ente ed era composta da: ispettrici nazionali, ispettrice della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) e dei GUF (Gruppi Universitari Fascisti), vice-segretario del Partito, ispettore del Partito per i Fasci Femminili e commissaria dell'Associazione Fascista Donne Artiste e Laureate. Il Fascio Femminile era istituito presso la sede di ciascun Fascio di Combattimento.
Facevano parte dei Fasci Femminili:
-L'Opera Nazionale Maternità ed Infanzia (ONMI), istituita nel 1925 per sostenere le madri sposate e i bambini, essenzialmente un ente di beneficenza gestito dai Fasci Femminili;
-La Federazione Nazionale Fascista delle Massaie Rurali (FNFMR), istituita nel 1933;
-La Sezione Operaie e Lavoranti a Domicilio (SOLD), istituita nel 1937.
L'azione dei Fasci Femminili s’inquadrava in quattro diversi rami di attività: direzione e sorveglianza delle proprie organizzazioni giovanili; organizzazione dell'assistenza sanitaria; istruzione popolare; organizzazione della sezione femminile dell'Opera Nazionale Dopolavoro (OND).
Al termine del secondo conflitto bellico in Italia, la Federazione fu sciolta.