Federzoni, Luigi

    Data di esistenza

    Data di nascita : 27/09/1878

    Data di morte: 24/01/1967

  • Biografia

    Luigi Federzoni (Bologna, 27 settembre 1878 - Roma, 24 gennaio 1967), è stato un politico e scrittore italiano. E' stato Presidente del Senato del Regno dal 1929 al 1939.
    Figlio del letterato Giovanni Federzoni ed Elisa Giovannini, si era trasferito prima a Modena e successivamente a Bologna assieme alla famiglia originaria del ferrarese. Il padre, noto studioso di Dante, era stato dapprima allievo e poi amico di Giosuè Carducci e anche il figlio, nel 1900, si laureò in lettere con Carducci all'Università di Bologna, conseguendo successivamente anche una laurea in giurisprudenza.
    Federzoni iniziò la propria attività letteraria e giornalistica scrivendo articoli di attualità e di critica per i quali usava - sembra per sottrarsi alle ire di Carducci - diversi pseudonimi (Giulietto il Superesteta, Il piegatore di chifel) e in particolare quello anagrammatico di Giulio de Frenzi, che mantenne per molti anni. Dal 1897 collaborò al settimanale degli universitari bolognesi, Il Tesoro, tra il 1898 e il 1899 alla rivista umoristico-letteraria, Bologna che dorme, quindi ad altri periodici come L'Italia che ride, Rivista ligure, Gazzetta dell'Emilia. Ricordi della Bologna di quegli anni, ritratti del professor Carducci e di A. Oriani, il F. li raccolse successivamente nei saggi di Bologna carducciana (Roma 1961).

    Alla fine del 1800 Federzoni si recò a Roma con il proposito di studiare storia dell'arte alla scuola di Adolfo Venturi. Ma fu preso ancor più dall'impegno giornalistico: dapprima collaborò con articoli, soprattutto letterari ed artistici, ai giornali Capitan Fracassa e Il Travaso, quindi divenne redattore capo a Bologna del Resto del Carlino nel 1904 e, dal 1905 al 1913, redattore del Giornale d'Italia, per il quale si trasferi definitivamente nella capitale, continuando la collaborazione al quotidiano bolognese. Nel 1910 fu tra i fondatori, con Enrico Corradini, dell'Associazione Nazionalista Italiana e nel 1911, sempre con Corradini, del settimanale L'Idea Nazionale. Divenuto leader del movimento nazionalista, fu dirigente del movimento Re e Patria e nel 1913 fu eletto deputato alla Camera tra i nazionalisti anche con i voti dell'elettorato cattolico. Nel frattempo si era già dedicato intensamente ai problemi relativi alla valorizzazione nazionale e all'esigenza espansionistica dell'Italia attraverso le inchieste, subito divenute famose, in difesa dell'italianità del lago di Garda (1909) e della Dalmazia (1910), e quindi nella campagna per la guerra di Libia, di cui fu acceso sostenitore e per la quale fu inviato come corrispondente a Tripoli e a Rodi. 
    A posteriori, nel libro di memorie Italia di ieri per la storia di domani, sottolineando come il nazionalismo fosse stato un fenomeno nato dalle contraddizioni stesse dell'evoluzione nazionale (quindi non di filiazione francese, essendo le sue matrici culturali tutte italiane: Carducci, Oriani, D'Annunzio, Mosca, Pareto), Federzoni rivendicò la sua capacità di porre il problema dell'inserimento dell'Italia in quella "gara" espansionistica aperta tra le potenze già "quattro secoli innanzi e grazie agli ideali del movimento nazionalista la nuova generazione aveva preso coscienza dei compiti che spettavano all'Italia nell'ambito delle nazioni europee" e aveva affermato "una volontà di potenza che meglio rispondeva alle esigenze del momento". Ma il nazionalismo non ebbe solo questo merito: esso, che non fu un movimento "reazionario", fu "una forza politica di destra, operante su un piano perfettamente costituzionale, per la salvaguardia dell'ordine sociale e legale, e per il rinvigorimento dello spirito patriottico del popolo italiano"; non utilizzò altri mezzi, se non quelli elettorali.
    L'indirizzo antidemocratico e imperialista che caratterizzava il gruppo dell'Idea Nazionale provocò un dissidio con altri dirigenti dell'ANI (S. Sighele, E. Rivalta, P. Arcari), che fu definitivamente aggravato di fronte all'adesione alla politica dell'estrema Destra data dall'Associazione attraverso lo stesso Federzoni in occasione della lotta contro il progetto governativo sul monopolio statale delle assicurazioni. La frattura fra la corrente democratica e quella conservatrice fu sancita dalla scissione avvenuta nel secondo congresso dell'ANI, svoltosi a Roma nel dicembre 1912: nell'occasione Federzoni firmò l'odg del gruppo dell'Idea Nazionale in cui si ribadiva come il nazionalismo dovesse opporsi alle "forze disgregatrici" e a "tutte le tendenze internazionalistiche, sia sentimentali, sia socialistiche, sia plutocratiche". Federzoni fu inoltre tra i firmatari di un odg di condanna della massoneria, accusata di essere costantemente impegnata a "promuovere e cementare i blocchi radicosocialisti" e di svolgere unazione "essenzialmente disgregatrice nella vita naziohale".

    La prima guerra mondiale divenne per i nazionalisti l'importante occasione per attuare il proprio programma politico, in primo luogo attraverso la propaganda per l'intervento a fianco dell'Intesa (in proposito fu Federzoni a coniare la parola "pacefondai", in L'Idea nazionale, 3 sett. 1914), quindi con la partecipazione diretta. Volontario, combatté come sottotenente di artiglieria e come tenente bombardiere, guadagnandosi una medaglia d'argento sul Carso e due croci di guerra al valore militare sul Piave. Continuando a inviare dal fronte le proprie corrispondenze all'organo nazionalista, egli proseguì la battaglia politica perché l'Italia si impegnasse fino in fondo nel conflitto, sostenendo fermamente le rivendicazioni alpine e adriatiche. Nel dicembre 1917 partecipò alla costituzione del Fascio parlamentare di difesa nazionale, fondato da M. Pantaleoni e G. Preziosi, per la continuazione della guerra. Nell'aprile 1918 fece parte della delegazione italiana al congresso di Roma dei popoli oppressi dell'Impero austro-ungarico, dove i nazionalisti sostennero la tesi della dissoluzione dell'Austria, senza però rinunciare alle rivendicazioni italiane sulla Dalmazia. Dopo la fine del conflitto, la mancata annessione di Fiume e la condotta del governo Nitti sulla questione adriatica, quindi il trattato di Rapallo, con la conclusione dell'avventura dannunziana, furono motivi della lotta politica del F., che, anche nei discorsi alla Camera, tra il 1919 e il 1921, denunciò la debolezza dello Stato nella politica estera e in quella interna.

    Rieletto deputato per la XXV., XXVI e XXVII legislatura, membro della commissione permanente per l'Estero e le Colonie durante la XXV-XXVI e dell'Interno durante la XXVII, nel marzo 1922 Federzoni fu portato dal suo gruppo, insieme coi fascisti e coi liberali nazionali, alla cagica di vicepresidente della Camera, acquistando sempre più un peso di primo piano nella vita politica e parlamentare italiana: la Destra liberale "si è identificata col nazionalismo. Il suo capo non è più Salandra ma Federzoni il quale domina anche il gruppo fascista", aveva commentato infatti L. Albertini in una lettera a F. Ruffini dell'8 luglio 1921.
    La posizione politica di Federzoni si era andata accostando a quella dei fascisti, con i quali fu apertamente solidale - come lo accusò Giacomo Matteotti alla seduta della Camera del 22 novembre 1920 - in occasione dell'episodio di palazzo d'Accursio a Bologna, quando affermò che il fascismo poteva essere lo strumento per attuare uno Stato forte contro le tendenze "disgregatrici" e la guerra civile minacciata dall'azione dei socialisti e per porre fine alle "beghe settarie" e agli intrighi della politica italiana. Fu di conseguenza tra i sostenitori della fusione tra il Partito nazionale fascista (PNF) e l'ANI (e tra i membri della commissione mista che tra il gennaio e il febbraio 1923 definì i rapporti tra i due partiti e le modalità della fusione), di cui si iniziò a discutere proprio con un suo articolo sull'Idea nazionale del 17 nov. 1921. Federzoni riconobbe le "benemerenze del fascismo quale rintuzzatore strenuo dell'assalto bolscevico in tanta parte d'Italia", ma ribadì la forza del nazionalismo per la sua "dottrina chiaroveggente e costruttrice" e per la sua "disciplina rigorosamente selettiva": se voleva acquistare la consistenza di un partito politico, il partito fascista non avrebbe potuto farlo se non "identificandosi col nazionalismo". Con la fusione tra i due partiti - scrisse col senno di poi - si sperava di poter esplicare nei confronti del fascismo "un'influenza moderatrice e educatrice".

    Per queste convinzioni e nell'ottica della necessità di salvare il paese da quella che definiva una guerra civile, Federzoni svolse un ruolo di primo piano nel periodo che precedette la marcia su Roma, impegnandosi dapprima per una soluzione governativa Salandra-Mussolini, quindi svolgendo un'opera di mediazione con lo stesso Mussolini, purché fosse salva la prerogativa della monarchia: la posizione di Federzoni e dei nazionalisti, sostenuti dalla propria milizia, i "Sempre pronti per la patria e per il re", fu infatti quella di schierarsi con Vittorio Emanuele III, sia se questi avesse chiamato Mussolini al governo, sia se avesse deciso di firmare lo stato di assedio. Questo annunciò al re la notte tra il 27 e il 28 ottobre, quando si recò da lui tra un incontro e l'altro del primo ministro Facta, il quale aveva portato al sovrano le proprie dimissioni e prospettato la necessità di firmare lo stato d'assedio votato dal Consiglio dei ministri. Nella notte stessa, Federzoni fu convocato al Viminale dal ministro Russo per mettersi in contatto con Mussolini nella sede del Popolo d'Italia a Milano e convincerlo a ritornare nella capitale. In merito le notizie sono discordanti: non è chiaro se abbia telefonato una o più volte e se abbia prospettato a Mussolini la formazione di un governo Salandra o la minaccia del re di abdicare, ovvero se il suo impegno fosse volto verso la soluzione di un governo guidato da Mussolini o verso un'ipotesi diversa. Quando Mussolini ebbe l'incarico dal re per formare il governo, dopo il fallito tentativo di Salandra nel corso dello stesso giorno 28, a Federzoni venne affidato il dicastero delle Colonie: fu proprio la "provenienza nazionalista" a indurlo ad accettare "un governo forte ma rigorosamente costituzionale e legalitario" e ad impegnarsi per "un'azione normalizzatrice". Tale fu infatti il suo ruolo quale importante anello di mediazione tra la Corona e il governo fascista, che si esplicò particolarmente al momento della crisi Matteotti, quando il 16 giugno 1924 fu nominato ministro dell'Interno, nonostante egli avesse messo a disposizione il proprio portafoglio. Sembrò in quella fase - secondo le testimonianze dei contemporanei, quali Turati e Kuliscioff, o secondo i suoi avversari interni al fascismo, che Federzoni mirasse a succedere a Mussolini, ma nel Consiglio dei ministri del 30 dic. 1924, quando i liberali G. Sarrocchi e A. Casati avanzarono l'ipotesi delle dimissioni di Mussolini, Federzoni vi si oppose vivacemente.

    L'azione "normalizzatrice" di Federzoni fu volta in primo luogo contro il dilagare delle violenze squadriste, per arginare le quali impartì ai prefetti in diverse occasioni ordini tassativi di intensificare la vigilanza nei loro confronti e di reprimere il risorgere organizzativo, e, successivamente, dopo i gravi disordini di Firenze dell'ottobre 1925, di procedere allo scioglimento "immediato" di qualsiasi formazione squadrista. In questa sua opera contro lo squadrismo e le forme di rassismo all'interno del regime, il suo maggiore obbiettivo fu rappresentato da Roberto Farinacci, divenuto segretario del PNF nel febbraio 1925 che, oltre ad adoperarsi nella ricostituzione delle squadre in quella che fu detta "seconda ondata", contrastò in ogni modo Federzoni e per sorvegliarlo fece tra l'altro nominare sottosegretario all'Interno A. Teruzzi, in sostituzione di D. Grandi, ritenuto troppo vicino al ministro.

    Dopo il 3 genn. 1925 (un colpo di Stato "fatto principalmente contro di me", scrisse, che rappresentò "una vittoria della frazione intransigente", come dimostrava la successiva nomina di Farinacci) si intensificò l'opera di repressione nei confronti dell'opposizione al fascismo, anzitutto con l'ordine ai prefetti, impartito da Federzoni lo stesso 3 gennaio, della "chiusura di tutti i circoli e ritrovi sospetti dal punto di vista politico", dello "scioglimento di tutte le organizzazioni che sotto qualsiasi pretesto possano raccogliere elementi turbolenti o che comunque tendano a sovvertire i poteri dello Stato", della "vigilanza dei comunisti e sovversivi che dieno prova o sospetto di attività criminosa", ammonendo al tempo stesso i medesimi prefetti di "inderogabilmente riservare alle autorità legittime" l'azione di repressione e di prevenzione. L'azione repressiva del regime, che lo vide impegnato in prima persona, fu volta quindi contro la libertà di stampa sia con i decreti fortemente restrittivi del luglio 1924, sia soprattutto con le norme sulla stampa periodica, attraverso la legge del 31 dic. 1925; mentre già nel corso di quell'anno aveva impartito ai prefetti varie direttive relative al sequestro di giornali contenenti articoli concernenti scandali locali o che avessero a che fare con la criminalità.

    All'opera di Federzoni come ministro dell'Interno furono dovute inoltre le leggi relative all'istituzione del Governatorato di Roma e dell'Alto commissariato di Napoli, alla creazione dell'Opera nazionale per la protezione e assistenza della maternità e dell'infanzia e dell'Opera nazionale balilla, all'istituzione del podestà e della Consulta municipale, la nuova legge di pubblica sicurezza, nonché varie leggi per la difesa e il miglioramento dell'igiene pubblica.

    1 tre attentati compiuti contro Mussolini nel corso del 1926, che contribuirono a rinvigorire l'azione repressiva del fascismo, già inaspritasi a seguito della scoperta del complotto Zaniboni nel novembre 1925, misero sempre più in difficoltà lo stesso Federzoni, contro il quale andava aumentando una campagna denigratoria fatta tanto di lettere anonime e di minacce, quanto di polemiche esplicite nei confronti della sua inefficienza. Questo nonostante che, per altro verso, la sostituzione di Farinacci e la nomina di Turati alla segreteria del PNF nel marzo 1926 avessero segnato una sua vittoria nei confronti del fascismo intransigente e nonostante ancora che egli fosse riuscito a far nominare capo della polizia A. Bocchini in sostituzione di F. Crispo Moncada. In una lettera inviata a Mussolini dopo l'attentato di Violet Gibson, datata 16 aprile, Federzoni pose fermamente "il problema della difesa" della vita dei capo del fascismo, dal momento che a suo avviso il regime non aveva "ancora raggiunto condizioni intrinseche, non che di stabilità, di vitalità", e la sua sola "garanzia di vita e di sviluppo" era rappresentata dallo stesso Mussolini. Una convinzione del ruolo centrale e unico di Mussolini, che aveva espresso già nel maggio 1925 in una lettera a Mussolini stesso: "A inutile illudersi: il Fascismo ti offre in vari di noi, uomini del governo o del partito, dei buoni pezzi diricambio per la macchina che tu devi regolare; ma nessun altro macchinista!". Ora, con l'attentato della Gibson, Federzoni rimetteva l'incarico di ministro dell'Intemo tentando di dimettersi nella convinzione di aver compiuto il proprio "ciclo". Mussolini, che non accettò le dimissioni, le accolse invece dopo l'attentato di Bologna del 28 ottobre assumendo egli stesso l'interim dell'Interno, nel corso dello stesso Consiglio dei ministri del 5 novembre, in cui vennero approvati i provvedimenti proposti da Federzoni relativi alla soppressione della stampa di opposizione, allo scioglimento di tutti i partiti a eccezione di quello fascista, all'istituzione del confino di polizia e all'impossibilità di espatriare, che segnarono la definitiva liquidazione dello Stato liberale. Pur indebolendoil potere che rischiava di assumere Federzoni, Mussolini non volle rinunciare alla copertura che egli gli forniva nel rapporto con il re e con alcuni gruppi di senatori e lo nominò nuovamente ministro delle Colonie. In quel periodo inoltre Federzoni svolgeva un importante ruolo di mediazione tra governo e S. Sede per l'avvio del processo di conciliazione nel 1926.
    La sfera di autonomia e di responsabilità coloniale italiana erano obiettivi che Federzoni vedeva lontani, data la "cronica deficienza numerica e qualitativa del personale dell'Amministrazione coloniale", e, come fece notare in successive missive, data la ristrettezza del bilancio previsto. L'attività come ministro delle Colonie si esplicò in due fasi tese entrambe  all'affermazione di una politica espansionista e al rafforzamento della "coscienza coloniale" degli Italiani attraverso l'impulso all'opera di studiosi e istituti.
    Nel primo periodo (ottobre 1922-giugno 1924), con Federzoni vennero portate a conclusione una serie di manovre militari in Tripolitania, con la riconquista di Misurata, della Gefara e della Ghibla, e in Cirenaica, con la denuncia degli accordi con la Senussia e l'occupazione di Agedabia. Nel secondo periodo (novembre 1926-dicembre 1928) furono compiute operazioni militari al fine del ricongiungimento territoriale delle due colonie libiche e per l'occupazione della regione sirtica, mentre venne ripresa l'attività repressiva contro la guerriglia senussita nell'altipiano cirenaico. Le direttive della sua politica coloniale prevedevano un radicale riordinamento amministrativo, la ristrutturazione dei corpi coloniali, la valorizzazione delle risorse naturali ed economiche, un processo di colonizzazione razionale. Nel corso della prima metà del 1927 il F. scrisse un diario da cui emergono con chiarezza i suoi disagi e la scarsa importanza che a suo avviso veniva attribuita alla propria funzione, sia a causa di vere e proprie scortesie, sia per l'inadeguatezza dei fondi concessi al bilancio del ministero, sia per l'errata valutazione delle manovre militari. Ma emerge anche un quadro del regime fascista a quella data denso di contrasti e di insoddisfazioni.
    L'incarico del F. durò fino al dicembre 1928: il 22 novembre era stato nominato senatore e il 30 aprile successivo divenne presidente del Senato, carica che mantenne fino al 1939. Nel dicembre 1928 era stata discussa la legge sull'ordinamento e le attribuzioni del Gran Consiglio, con la quale, oltre ad inserire il massimo organismo fascista tra gli organi costituzionali dello Stato, veniva limitata la prerogativa della Corona sia per quanto riguardava la scelta del capo del governo, sia mettendo un'ipoteca sul meccanismo della successione al trono, e che per tali motivi trovò l'opposizione degli elementi monarchici ed ex nazionalisti, a cominciare da Federzoni (secondo il quale le legge fu fatta contro l'erede al trono. il principe di Piemonte, notoriamente "ostile" al fascismo). Sembra che il re, in proposito, più che intervenire personalmente, avesse fatto agire proprio Federzoni al fine di ottenere modifiche al testo della legge: questo spiegherebbe perché il 16 dicembre Mussolini lo fece dimettere da ministro e perché precedentemente avesse tentato di convincerlo ad assumere la carica di governatore di Roma, promettendogli di continuare a far parte del Gran Consiglio.

    Nel secondo decennio del regime Federzoni - che nel 1932 venne insignito del collare dell'Annunziata -, oltre che nella importante carica di presidente del Senato, fu impegnato nell'attività e nell'organizzazione culturale: in primo luogo come direttore, dal 1931, della Nuova Antologia, di cui era redattore capo A. Baldini; quindi come presidente, dal marzo 1938, dell'Accademia d'Italia; dal 1935 era stato nominato presidente del Consiglio nazionale delle accademie e socio dell'Accademia dei Lincei; tra il 1929 e il 1931 era stato presidente dell'Istituto di studi romani; dal 1937 fu presidente dell'Istituto fascista dell'Africa italiana. Nel 1938 divenne presidente dell'Istituto della Enciclopedia Italiana. Il suo impegno culturale si esplicò in varie altre forme, dalla direzione della collana "Grandi italiani" della UTET alla presidenza dei Comitato per l'edizione naz. di G. Carducci presso Zanichelli, alla cura di scritti e iniziative, a numerosi discorsi e inaugurazioni ufficiali.
    La sua posizione politica, nonostante questi incarichi ufficiali lo portassero a compiere un'opera di primo piano di supporto culturale al regime, con il volgere del decennio si distaccò sempre più dalle idealità e dalla realtà del regime stesso. Anzitutto proprio attraverso la sua esperienza di presidente del Senato. nei confronti del quale andava constatando i reiterati tentativi di Mussolini, a partire dal 1932-34, di distruggerne il prestigio e giungere all'abolizione del sistema bicamerale, per mezzo dei vari progetti di riforma istituzionale. Uno degli ultimi episodi di sopraffazione dell'autorità del Senato fu segnato dalla nomina per acclamazione, ottenuta dai deputati fascisti con una "tecnica perfetta di sperimentati gangsters", di Mussolini a primo maresciallo dell'Impero.

    L'opposizione di Federzoni si iniziò a definire maggiormente man mano che maturava l'alleanza con la Germania. Contrario alle leggi razziali, sulle quali si pronunciò negativamente e, soprattutto, all'entrata in guerra dell'Italia, egli conquistò una posizione che lo fece considerare tra i possibili successori di Mussolini: tra l'ottobre e il dicembre del 1942, secondo le testimonianze di A. Pirelli, P. Calamandrei, E. Caviglia, circolarono insistentemente voci di governi da lui presieduti o sotto la sua egida.
    Dopo lo sbarco angloaniericano in Sicilia il 10 luglio 1943, centrale fu di conseguenza la sua collaborazione con D. Grandi per l'elaborazione di quell'ordine del giorno che nella seduta del Gran Consiglio della notte tra il 24 e il 25 luglio avrebbe portato alla caduta di Mussolini Quanto affermò Grandi sintetizza l'evoluzione di certi gruppi intellettuali di matrice reazionaria che avevano appoggiato l'avvento del fascismo al potere, e che se ne erano distaccati di fronte al degenerare della dittatura mussoliniana: "il Fascismo dei secondo decennio - rilevò infatti Grandi - nulla ha a che fare col Fascismo del primo decennio, così come nulla ha a che fare il Mussolini del secondo decennio col Mussolini che i fascisti della vigilia elessero loro Capo nel 1919, nel 1920, nel 1921, e. che, quale Capo del Governo e Primo Ministro del Re, portò l'Italia ad essere il Paese ammirato e invidiato da tutti i visitatori e osservatori stranieri". In linea con queste convinzioni, nella seduta del Gran Consiglio Federzoni dichiarò che con l'odg Grandi si metteva fine all'"intollerabile equivoco delle masse travestite in camicia nera" e a quel "falso mito della guerra fascista" che aveva accelerato il distacco fra il Paese e il Fascismo": perché questa era stata la grave colpa del regime, l'aver spinto il paese alla guerra e il non aver provveduto alla preparazione spirituale e materiale della Nazione, avendo con la politica del partito, principalmente negli ultimi otto o dieci anni, mirato soprattutto a "dividere gli Italiani".
    Dimessosi dalle cariche di direttore della Nuova Antologia e di presidente dell'Accademia d'Italia subito dopo il 25 luglio Federzoni, rifugiatosi nell'ambasciata del Portogallo presso la S. Sede a Roma, fu accusato di alto tradimento al processo di Verona e condannato a morte in contumacia. Alla fine della guerra fu processato assieme a Bottai, Rossoni e Acerbo, unico presente, dall'Alta Corte di giustizia per il suo passato fascista e condannato all'ergastolo nel maggio 1945 (fu amnistiato nel dicembre 1947). Latitante, dopo esser stato nascosto nel Pontificio Collegio ucraino S. Giosafat a Roma, fuggì dall'Italia e tra il maggio 1946 e l'aprile 1948 visse sotto falso nome in America Latina. Nell'aprile 1948 poté rientrare in Portogallo, dove insegnò storia dell'umanesimo all'università di Coimbra e nel 1949 letteratura italiana all'università di Lisbona.

    Tornò in Italia definitivamente, dopo un viaggio nell'estate 1948, nel 1951 e si ristabilì a Roma con la famiglia. Impegnato nello studio della recente storia d'Italia (fece tra l'altro parte del Comitato di divulgazione storica dell'Unione monarchica italiana) e nella scrittura delle proprie memorie, egli mantenne uno stretto rapporto di amicizia e di collaborazione con Umberto di Savoia, sia durante la sua permanenza in Portogallo, sia dopo il rientro in Italia: in particolare gli inviava informazioni e notizie relative alla situazione politica italiana, ai vari partiti e soprattutto al partito monarchico.

    Federzoni mori a Roma il 24 genn. 1967.

    https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-federzoni_(Dizionario-Biografico)/