Nasce a Torino il 18 maggio 1926. Figlio di Eusebio, lavoratore immigrato romagnolo poi imprenditore fondatore della carrozzeria Garavini, Sergio studia al Liceo Gioberti. Diplomato, nell’autunno del 1943 si iscrive al Politecnico, nella facoltà d’Ingegneria che abbandonerà a tre esami dalla laurea. Pochi giorni dopo l’8 settembre assiste a una scena che segnerà una svolta fondamentale della sua vita: durante il saccheggio di un opificio militare vede un blindato tedesco sparare sulla folla poco lontano dalla casa di famiglia. Si tratta di un episodio lo marca profondamente e gli fa prendere la decisione di interessarsi di politica, fino allora restata saldamente fuori dalle mura domestiche. Nell’ambiente universitario entra in contatto col Fronte della gioventù, che Garavini aiuterà nelle attività di sensibilizzazione e propaganda col nome di “Giuliano”. Nel 1945 si iscrive alla Federazione giovanile del Partito socialista di unità proletaria e nei primi mesi del 1946 entra a far parte del Coordinamento dei consigli di gestione dove entra in contatto con importanti esponenti del Partito comunista come Egidio Sulotto e Ruggero Cominotti.
Nel 1948 conosce la futura moglie Maria Teresa “Sesa” Tatò e si iscrive al PCI, cominciando la sua lunga militanza nelle organizzazioni comuniste. Nel 1949 si sposa a Roma. Il rito celebrato in chiesa gli varrà l’attacco di diversi membri della Federazione provinciale nel momento in cui Celeste Negarville decide di affidargli la responsabilità della Commissione stampa e propaganda. Nel 1952, in seguito alla rimessa in questione da parte degli organi centrali del PCI della gestione di Negarville di una serie di vertenze alla Fiat, Garavini viene inviato all’Ufficio economico della Camera del lavoro di Torino, momento che marca il suo passaggio dal partito al sindacato. Poi, nel 1955, in un momento molto difficile, a seguito del tracollo della FIOM alle elezioni delle Commissioni interne alla Fiat, Garavini prende il posto di Fernando Bianchi come segretario provinciale del sindacato dei metallurgici.
Attraversa tutti gli “anni duri” del sindacato di classe durante i quali sostiene la necessità di un “ritorno in fabbrica” attraverso lo studio dei meccanismi produttivi e delle particolari condizioni aziendali della Fiat, della cui evoluzione si era fatta una lettura semplicistica nel secondo dopo-guerra. Uno sforzo condiviso con gli altri dirigenti provinciali della FIOM di quegli anni quali Ruggero Cominotti, Beppe Muraro, Bruno Fernex ed Emilio Pugno.
Nel 1956 diventa anche consigliere comunale a Torino, carica che ricoprirà fino al 1969. In questa veste si si concentra in particolare sulla condizione operaia fuori dalla fabbrica portando una particolare attenzione a infrastrutture, edilizia popolare e gestione delle finanze pubbliche.
Nel 1960 diventa Segretario della Camera del lavoro di Torino ed entra a far parte del Comitato direttivo confederale intrattenendo, a livello nazionale, stretti contatti con Foa, Trentin e Giovannini. È in questo stesso periodo che entra in contatto con i giovani che gravitano intorno all’esperienza dei Quaderni rossi, in una dialettica breve ma intensa marcata dalle comuni tensioni “operaiste”. Nel 1966 diventa segretario regionale della CGIL per poi avviarsi verso ruoli nazionali.
Dopo il congresso provinciale del 1969 matura infatti il passaggio di Garavini alla segreteria nazionale, non però alla FIOM ma nella federazione dei tessili, la FILTEA-CGIL. Il sindacalista torinese sconta forse, nonostante l’indubbia fedeltà al partito, un profilo troppo eterodosso – confermato dalla sua posizione sulla “vicenda del Manifesto” – e tutto ciò nonostante la pertinenza della linea politica proposta da Garavini nel capoluogo piemontese sia ormai sancita dalla clamorosa ripresa delle lotte operaie che esploderanno poche settimane dopo durante l’autunno caldo.
A Roma si batte per un riconoscimento a pieno titolo delle nuove forme di rappresentanza di fabbrica emerse nel vivo dell’autunno (delegati operai e consigli) e sostiene fermamente la necessità di unità sindacale. Alla testa del sindacato dei tessili si trova ad affrontare la profonda crisi del settore che si delinea già dalla metà degli anni Sessanta e che dal 1971 si traduce in una forte pressione al ribasso sui livelli occupazionali. In questo contesto difficile, Garavini riserva un’attenzione particolare alle condizioni delle figure più deboli della categoria dei tessili ossia le donne e i lavoratori a domicilio.
Nell’ottobre del 1975 lascia l’incarico di segretario generale della FILTEA per entrare nella segreteria generale della CGIL, dove rimane fino al 1985. Sono anni di crisi economica e di ristrutturazioni industriali via via più dolorose che Garavini seguirà con assiduità. Convinto sostenitore della “linea dell’Eur”, dopo il 1977 si concentra molto anche sulla condizione giovanile in particolare sullo scollamento tra sindacato e nuove generazioni.
Nella primavera del 1985 comincia l’ultimo atto della lunga carriera sindacale di Garavini, con l’approdo alla Segreteria generale della FIOM nazionale in un contesto però di grande confusione e reflusso dell’azione rivendicativa.
Nel 1987 viene eletto deputato. In occasione dello scioglimento del PCI partecipa da protagonista alla fondazione del progetto Rifondazione comunista di cui è primo coordinatore nazionale nel 1991 e primo segretario nazionale nel 1992, anno in cui viene rieletto deputato. L’esperienza con Rifondazione si conclude però nel 1993 a seguito di contrasti col resto della dirigenza, in particolare con Armando Cossutta, che portano Garavini ad abbandonare il partito per entrare nei Comunisti unitari poi confluiti nel PDS.
Muore a Roma il 7 settembre 2001.
Fonti: Adriano Ballone e Fabrizio Loreto, Sergio Garavini. Il sindacalista «politico», Ediesse, 2010