el 1911 la gestione passò al Consorzio Ilva. Nel 1918 la denominazione da ILVA divenne “Società ILVA Altiforni e Acciaierie d'Italia”.
Riguardo alla forza lavoro, varia era la provenienza degli operai, emigrati anche da molte città italiane.
Si votava per censo, la borghesia possedeva potere e capitale, ed elevato era l'analfabetismo. Si crearono presto le prime realtà sindacali, di socialisti e anarchici, con le quali le istanze di lotte condurranno presto a forme di sciopero culminate nella protesta del 1911. Lo sciopero, iniziato per cause di varia natura nel mese di giugno, portò ad una completa fermata da parte degli operai, soprattutto appartenenti ai sindacati anarchici. A quel tempo la società Elba aveva alcuni problemi economici ed organizzativi, e lei stessa approfittandone dichiarò la serrata dello stabilimento, esprimendo la volontà di procedere con pesanti ristrutturazioni aziendali. Lo scontro prese ad allargarsi, coinvolgendo anche le componenti cattoliche del sindacato, così come si estese nel continente agli impianti siderurgici di Piombino.
Tra i molti progetti di sviluppo è interessante ciò che fu fatto per il reimpiego della loppa di altoforno. Inizialmente fu utilizzata come riempimento dei terreni paludosi circostanti lo stabilimento, a scopo di ampliamento del sito industriale. La loppa si impiegherà poi per la produzione del cemento.
Nel 1926 nasceva la “Società Cementerie Litoranee”, sita nei pressi degli altiforni di Portoferraio. 150 operai erano impiegati per la produzione di circa 200 tonnellate di cemento. Nel 1931 fu assorbita dall'Ilva. Chiuse verso la fine degli anni Cinquanta, dopo essere stata ceduta alla Cesa nel 1954.
Durante la Prima Guerra Mondiale si chiese uno sforzo per incrementare al massimo la produzione e quindi rifornendo di minerale gli altiforni.
Oltre ai noti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che posero fine all'attività produttiva, va menzionato un attacco da parte di un sommergibile austriaco, durante la Prima Guerra. Il 23 maggio 1916 un fitto lancio di granate colpì soprattutto ciminiere, cokeria e un piroscafo. Vi furono due morti e feriti tra operai e marinai.
Una seconda fase di profonda crisi fu vissuta al termine della guerra. La società Elba minacciava la chiusura dello stabilimento. Proteste e scioperi culminarono nell'occupazione dello stabilimento il 7 settembre 1920. Le proteste, che coinvolsero anche le miniere, si conclusero con vantaggi per i lavoratori. Ma erano anni in cui nascevano i fasci locali, che presto significarono dure condizioni di vita per gli operai impegnati nel sindacato, con pestaggi, carcere, perseguitati dal Tribunale Speciale.
Nel 1922 lo stabilimento dava lavoro a circa 1400 persone, saliti a 2000 nel 1923.
In più occasioni Mussolini intervenne per salvare l'occupazione, a seguito dell'intenzione dell'ILVA di chiudere. Accadde alla fine degli anni Venti, nel 1932. Nel 1936 Mussolini si recò in visita allo stabilimento, dove era stato attivato un nuovo altoforno. Un altro fu installato al termine del 1937.
Dato il carattere strategico della produzione lo stabilimento subì bombardamenti massicci nel 1944 da parte delle truppe Alleate. Dal mese di gennaio ripetute incursioni colpivano anche Portoferraio e gli altiforni, fino alla liberazione dell'isola, con l'operazione Brassard, nel mese di giugno. Gli impianti subirono pesanti danni, tali da metterne in discussione il ritorno all'attività.
In realtà il destino dello stabilimento era già segnato, e la volontà dell'Ilva, ovvero Finsider, era volta all'abbandono della siderurgia all'isola d'Elba. Si misero così in evidenza le spinte pubbliche e private per il proseguimento o abbandono dell'attività, creando l'illusione di restituire il lavoro ai dipendenti, ai reduci di guerra, ed i navigatori della flotta. Nel 1947 si mise fine ad ogni discussione.
La storia degli altiforni di Portoferraio si chiuse con il licenziamento di tutte le maestranze nell'estate del 1948.
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