LANTINI, Ferruccio. - Nacque a Desio, in provincia di Milano, il 24 ag. 1886, da Giuseppe, funzionario delle Ferrovie dello Stato, repubblicano e massone, e Rosa De Medici.
Ancora giovanissimo, il L. si iscrisse alla sezione socialista della cittadina lombarda. Trasferitosi in Liguria a seguito del padre, poco più che diciottenne fu ammesso alla massoneria. Laureatosi in scienze commerciali, si avvicinò al movimento nazionalista. Nel 1911 partecipò a Oneglia alla campagna in favore dell'impresa di Libia. Stabilitosi a Genova nel 1912, fece parte del primo gruppo nazionalista della città e fu segretario della sezione genovese della Trento e Trieste. Nel 1914-15 fu attivo propagandista per l'intervento italiano in guerra, soprattutto tra gli studenti. Fu chiamato alle armi nel 1916, quale ufficiale del genio zappatori, congedandosi con il grado di tenente e venendo insignito della croce di guerra. Il fratello Spartaco, medaglia d'oro, morì diciannovenne sul Piave, nel giugno 1918.
Tornato a Genova dopo il congedo, il L. trovò impiego presso l'amministrazione provinciale del Tesoro della città, rimanendovi fino al 1923. Dal 1920, per tre anni, fu anche consigliere comunale.
In questo periodo si dedicò attivamente alla politica, mantenendo l'adesione alla massoneria da cui si dimise solo quando ne fu dichiarata l'incompatibilità con l'appartenenza al partito fascista , all'associazione combattenti e al movimento fascista.
Con l'appoggio finanziario dell'armatore A. Odero, nell'estate 1923 il L. fondò il Giornale di Genova, quotidiano che esordì il 1° agosto e di cui egli stesso assunse la direzione, insieme con Pala, mantenendola fino al gennaio 1925.
Espressione della fazione del fascismo genovese legata al gruppo Odero e alla Banca commerciale italiana, che si contrapponeva alla corrente del revisionista M. Rocca e del suo alleato G. Mastromattei, sostenitori dei fratelli Perrone e dell'Ansaldo, il giornale divenne per il L. un utile strumento di affermazione politica.
Nell'aprile 1924 il L., incluso nel listone fascista, risultò eletto alla Camera per la circoscrizione della Liguria. Dopo aver trascorso alcuni mesi in Romania, nella seconda metà del 1925 fu nominato vicecommissario prefettizio del Comune di Genova.
Alla fine del 1926 il fascismo genovese fu investito da una grave crisi, in seguito all'uccisione di un carabiniere da parte di un appartenente alla Milizia, coperto e aiutato nella fuga da G. Bonelli, fascista genovese, membro della direzione nazionale del PNF, alleato e sostenitore del L.; a causa dello scandalo che ne derivò, Bonelli fu espulso dal partito. Il momento critico segnò invece per il L. il definitivo allontanamento dalle vicende del fascismo locale e l'avvio di una carriera a livello nazionale, con importanti incarichi in campo sindacale e corporativo.
Nell'agosto 1926 il L. era stato chiamato alla presidenza della Confederazione nazionale fascista del commercio, e quando, un anno dopo, il segretario del PNF, A. Turati, gli chiese di scegliere tra i vecchi amici e la nuova posizione, egli fu risoluto nel rimarcare il completo distacco dai passati legami genovesi e la totale dedizione ai nuovi compiti cui era stato chiamato. Dal gennaio 1929, fino al successivo dicembre, fu anche membro del Gran Consiglio, mentre nelle elezioni plebiscitarie di marzo fu riconfermato deputato alla Camera.
Costituita con r.d. 1° luglio 1926, n. 1130, la Confederazione nazionale fascista del commercio sovrintendeva su tutte le federazioni nazionali istituite per le differenti categorie operanti nel commercio, rappresentate a livello territoriale dalle federazioni provinciali. Durante la gestione del L., che durò fino al dicembre 1933, furono approvati i nuovi Statuti delle federazioni, in base ai quali fu ridefinita l'intera struttura organizzativa dell'ente. Fu inoltre costituita la Cassa nazionale malattie per gli addetti al commercio, riconosciuta con r.d. 29 ott. 1929, n. 2608, definita da Mussolini l'esempio più completo di applicazione delle norme della "Carta del lavoro" in materia di mutualità e previdenza.
Dal gennaio 1934, per un anno, il L. fu presidente dell'Istituto nazionale per l'esportazione, ente creato nel 1926 per promuovere lo sviluppo del commercio italiano all'estero. Rieletto deputato nel marzo 1934, il successivo gennaio fu nominato sottosegretario alle Corporazioni, venendo infine chiamato, l'11 giugno 1936, alla testa del dicastero, che guidò fino all'ottobre 1939. In questi anni fu anche membro del comitato corporativo centrale e nuovamente membro del Gran Consiglio. Dal dicembre 1936 al luglio 1938 fece parte, insieme con C. Ciano, A. Starace, G. Bottai e A. Solmi, della commissione investita dal Gran Consiglio dell'incarico di formulare proposte sulla composizione e sul funzionamento della Camera dei fasci e delle corporazioni. La commissione elaborò il disegno di legge sulla istituzione della nuova Camera fascista, divenuto poi la legge 19 genn. 1939, n. 129.
Convinto sostenitore, sin dalla metà degli anni Venti, del corporativismo fascista quale innovativo sistema di gestione dell'economia, il L. si trovò a guidare l'organismo deputato alla sua piena attuazione in un periodo in cui gli spazi di manovra e le effettive possibilità operative delle corporazioni si dimostrarono sempre più limitati. Della scarsa incisività degli istituti corporativi negli anni in cui era stato ministro, a causa delle emergenze economiche che il regime aveva dovuto affrontare, il L. ebbe piena consapevolezza, come dimostra il giudizio espresso alcuni anni dopo: "Purtroppo gli eventi non hanno dato respiro alle corporazioni italiane. La guerra coloniale d'Etiopia e le sanzioni decretateci contro da Ginevra, hanno imposto alla politica economica d'Italia il problema obbligato dell'autarchia. Nell'urgenza degli eventi e degli emergenti straordinari bisogni, l'autarchia necessariamente sottraeva alle corporazioni parte del loro lavoro; e la parte a loro ancora riservata la proponeva sotto l'aspetto di condizioni eccezionali, ben lontane dalla normalità della vita vissuta" (F. Lantini, Individualismo, collettivismo, corporativismo, in Id., La via del ritorno. Conversazioni 1942-1943, Roma 1943, pp. 139 s.).
Nel novembre 1939, succedendo all'ex sottosegretario alle Corporazioni B. Biagi, il L. fu chiamato alla presidenza dell'Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale (INFPS), organismo istituito nel marzo 1933 in seguito alla trasformazione della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Negli anni della sua presidenza, che si protrasse fino al 1943, il L. dovette confrontarsi con le difficoltà causate dalla enorme crescita delle competenze dell'ente, verificatasi nel corso degli anni Trenta, cui si aggiunsero anche le nuove attribuzioni derivanti dalle emergenze di guerra.
A rendere più difficile la situazione contribuiva la carenza di personale qualificato, a causa dell'alto numero dei richiamati alle armi, a fronte della crescente burocratizzazione dell'organismo. Pur consapevole dell'importanza e del valore politico dei nuovi compiti affidati all'Istituto, il L. manifestò in più occasioni le proprie preoccupazioni per l'eccessivo ampliamento delle sue funzioni e richiamò la necessità di provvedere a una delimitazione delle sue attività, al fine di garantirne la stabilità finanziaria.
Consigliere nazionale nel marzo-ottobre 1939 e dall'8 luglio 1940, membro della corporazione della carta e della stampa e successivamente della corporazione della previdenza e del credito, nel 1941 il L. partecipò alla campagna di Grecia, al comando di un battaglione del genio.
Nel corso del 1942 e nei primi mesi del 1943 il L., che era tornato alla fede verso la fine degli anni Venti, tenne alcune conferenze di carattere religioso, i cui testi, insieme con altri interventi politici, furono raccolti nel già ricordato volume La via del ritorno. Nel febbraio 1942 egli scrisse una lunga lettera a Mussolini in cui manifestava un'accesa preoccupazione per le prospettive inquietanti che a suo parere si annunciavano per l'Italia in un dopoguerra certamente dominato dal potente alleato tedesco.
Caduto il fascismo, il L. rimase nella capitale e non aderì alla Repubblica sociale italiana. Dopo la Liberazione, il 20 sett. 1945 fu arrestato con l'accusa di "atti rilevanti" e rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli per nove mesi. Il processo, che si svolse dal 15 al 17 giugno 1946, si concluse con l'assoluzione. Da allora si ritirò dall'attività pubblica.
Il L. morì a Roma il 26 nov. 1958.
Oltre al volume già citato, fra le opere del L. si ricordano ancora: Commercio e ordinamento corporativo, Roma 1931; Il metodo corporativo per raggiungere l'autarchia, ibid. 1939; Pensieri, ibid. 1962.
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