Squadrista nero genovese appartenente ai fascisti estremisti della "prima ora" e braccio destro del segretario del Fascio di Genova Gerardo Bonelli.
La marcia su Roma non pone fine all’illegalismo di matrice squadrista. L’assunzione delle responsabilità di governo da parte di Mussolini e del fascismo apre nuove problematiche, visto che ora a essere chiamati a mantenere l’ordine pubblico sono proprio coloro che fino a qualche giorno prima avevano incitato alla rivolta contro un governo e un sistema politico ritenuto ormai decrepito. In questo contesto, se le violenze delle squadre fossero continuate come ai tempi della vigilia, il governo Mussolini si sarebbe trovato in serio imbarazzo. D’altra parte, liquidare lo squadrismo avrebbe significato per il fascismo privarsi di un puntello importante del proprio potere e di uno strumento di pressione decisivo nel definire i nuovi equilibri politici. In quest’ottica si situa la creazione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che nasce come risposta al desiderio di irreggimentare lo squadrismo, limitarne le spinte centrifughe e rinsaldarne la disciplina. Al tempo stesso, l’irreggimentazione delle squadre nella Mvsn è frutto della consapevolezza del valore centrale della violenza di matrice squadrista come strumento per consolidare la posizione del presidente del Consiglio, imporre il consenso e radicare la conquista del potere. L’istituzionalizzazione dello squadrismo attraverso la Milizia è innanzitutto un modo per inserire organicamente il braccio armato del fascismo all’interno dello stato liberale. Il connubio tra violenza legale e violenza illegale si fa più stretto che mai.
A Genova la commistione tra vecchio e nuovo squadrismo è particolarmente stretta, dal momento che a guidare la locale legione della Mvsn sono alcuni veterani della vigilia, come Gian Gaetano Cabella, Gerardo Bonelli e lo stesso Gigetto Masini. Tra le formazioni che nel capoluogo ligure si distinguono per la loro intransigenza e per il potenziale violento e intimidatorio c’è la squadra Vola, nata come squadra del fascio nel 1921 e per molti anni protagonista indiscussa dello squadrismo genovese. Inglobata nella Milizia quale centuria della 31o legione genovese, la Vola viene posta agli ordini di Gian Gaetano Cabella, che la guida né più né meno come fosse una squadra d’azione della vigilia. Gravi incidenti di cui loro sono responsabili si susseguono numerosi. Davanti a disordini di tale portata, questura e prefettura non esitano a ordinare l’immediato scioglimento della squadra e la procura di Chiavari intenta un procedimento contro Cabella e Bonelli, il segretario del fascio di Genova. In realtà, la repressione si rivela un fuoco di paglia. Bonelli e Cabella sono prosciolti da ogni accusa e la Vola di lì a poco risorge come Circolo Sportivo Vola, mantenendo inalterato organigramma e componenti. Nel gennaio 1924 nasce il circolo rionale fascista Vola, che affianca la squadra sportiva. Lo stesso anno Gigetto Masini viene nominato ispettore dei gruppi sportivi fascisti di Genova.
In occasione dell’attentato Zamboni del 31 ottobre 1926, in molte città italiane sembrano riviversi i momenti della vigilia: vengono prese d’assalto le abitazioni di esponenti antifascisti, si inscenano proteste violente, si verificano scontri tra squadristi e forze dell’ordine. Gravi disordini si verificano anche a Genova, dove la base squadrista è decisa a far definitivamente piazza pulita di ogni residua forma di opposizione e a sfruttare l’attentato per un’azione repressiva su larga scala. Fulcro dei disordini è via Roma, dove decine di squadristi assediano l’abitazione dell’ex deputato socialista Francesco Rossi, protetta da un cordone di carabinieri e guardie di finanza. Approfittando della confusione, Vittorio Nizzola, uno squadrista della Vola, entra nel palazzo per intrufolarsi negli uffici della ditta Rebora e Beuf, e rubare la cassa. All’interno viene sorpreso da Bernardini, che Nizzola non esita a freddare con un colpo di pistola. Scoperto il cadavere di Bernardini, l’élite radicale della città, a cominciare dal federale Giovanni Pala, dal commissario per il comune Ferruccio Lantini, da Gerardo Bonelli, dallo stesso Masini fino alle autorità politiche e militari, sono tutti concordi sulla necessità di insabbiare subito l’accaduto. Nessun nesso deve essere stabilito tra la morte di Bernardini e i disordini provocati dagli squadristi. La dissimulazione raggiunge il culmine durante le esequie di Bernardini; a condurre il corteo funebre è infatti Bonelli in persona, «scintillante egli stesso nella divisa nuova dell’ufficiale italiano della Milizia Nazionale», ed è Masini ad officiare nello stesso momento il rito d'appello per le esequie dei due squadristi feriti a morte dalle forze dell'ordine le quali, subito dopo il ritrovamento del corpo del carabiniere, sono state costrette a fare ricorso alle armi per riprendere il controllo della situazione. Nel suo discorso pubblico, i due squadristi uccisi vengono presentate come "vittime dello stesso dovere" ed a Bernardini nessun giornale si degna di pubblicare nemmeno un trafiletto. Durante il processo che nel maggio 1929 vede Bonelli e Masini imputati di aver favorito la fuga di Nizzola, gli accusati ribadiscono con forza che l’ordine di insabbiamento è arrivato da autorità «gerarchicamente superiori» a Bonelli, allora vicesegretario del Pnf. Nel marzo 1927, dopo varie traversie e peregrinazioni, Nizzola viene fatto imbarcare, con tanto di documenti falsi forniti da Bonelli, sul piroscafo Conte Verde, con destinazione Sud America, dove se ne perdono le tracce. Inizialmente Turati e Mussolini riconfermano la fiducia ai gerarchi genovesi; nel gennaio 1927, Turati invia a Genova, nelle vesti di commissario straordinario per la federazione, Lare Marghinotti, con l’ordine di procedere a una radicale e severa epurazione. Bonelli si dimette da vicesegretario del Pnf e, tra il novembre 1926 e l’aprile 1927 Bonelli e «bonelliani» godono quindi ancora di un certo spazio di manovra, tanto da avere tutto il tempo di far espatriare Nizzola. Nell’aprile 1927 prende avvio un’ampia epurazione nelle file del fascismo genovese, che è l’archetipo per altre azioni simili che coinvolgeranno, di lì a pochi mesi, le principali roccaforti dello squadrismo italiano. Il 23 aprile 1927 Bonelli viene costretto alle dimissioni, ma le espulsioni non placano i rancori dei vecchi squadristi, che continuano a commettere violenze e provocazioni. Due giorni dopo, centocinquanta fascisti genovesi sono espulsi dal Pnf sulla base dei risultati dell’inchiesta condotta da Marghinotti. Tra questi spiccano numerosi squadristi vicini all’ex vicesegretario, e in particolare molti uomini della squadra Vola dei quali uno dei principali è Masini. Il processo che si apre nel maggio 1929 vede tra gli imputati Bonelli, Masini e altri squadristi genovesi accusati di aver favorito la fuga di Nizzola in Sud America; un mese dopo la condanna è ad un anno e cinque mesi per Bonelli ed altri ma la sentenza viene annullata in appello un anno dopo. Solo in agosto viene arrestato Gigetto Masini, ed è proprio Mussolini a rammaricarsi col questore di non aver dato massima pubblicità all’arresto, che doveva dimostrare «la volontà e l’energia dell’Autorità contro chiunque».