Data di nascita : 30/5/1920
Si trova a Palermo, al corso allievi ufficiali, al momento dello sbarco alleato in Sicilia. Nell’agosto 1943, quando l’isola è praticamente caduta nelle mani degli angloamericani, approfitta della situazione per fare ritorno a casa. Presentatosi al distretto militare di Recco, viene destinato al 15° reggimento genio di Chiavari, dove incontra gli ex compagni di scuola Aldo Gastaldi (Bisagno) e Aurelio Ferrando (Scrivia). Dopo l’8 settembre nasconde con alcuni amici le armi abbandonate in zona dai bersaglieri e qualche mese dopo raggiunge il paese di Cichero, dove si erano formati i primi gruppi armati. Qui viene assegnato al distaccamento Forca, sul monte Aiona, con l’incarico di occuparsi degli aviolanci. Durante l’estate del 1944, quanto i tedeschi e gli alpini della Monterosa organizzano grandi rastrellamenti, Massai viene nominato comandante del distaccamento Alpino, composto da una trentina di uomini e dipendente dalla brigata Jori, della divisione Cichero. Tale distaccamento si distingue sin dal 1° settembre, catturando in val Trebbia quindici soldati della Monterosa e soprattutto recuperando molte armi, tra cui due mitragliatrici. Nel marzo 1945 il distaccamento Alpino viene trasferito alla brigata Berto, in valle Aveto, a seguito di un episodio di insubordinazione di Santo, verificatosi in un momento di tensione tra Bisagno e il Comando VI Zona. Nel dopoguerra è tra i fondatori del circolo Bisagno, di cui sarebbe poi divenuto presidente. È autore di I ribelli dell’Alpino e Bisagno. La vita, la morte, il mistero. Medaglia d’argento al valor militare.
Nell'immediato dopoguerra, complice l'infuocato clima politico, si susseguono tentativi di strumentalizzazione delle azioni di Bisagno in senso antiunitario e anticomunista, con l'obiettivo di dipingerlo come un campione della lotta al totalitarismo comunista. Non viene infatti considerato che Bisagno ebbe tra i suoi migliori amici esponenti comunisti come Giovanni Battista Canepa (Marzo), definito da don Luigi Canessa, cappellano militare della brigata Centocroci, come un padre per Bisagno; poi Giovanni Serbandini (Bini), salito a Cichero insieme a Bisagno per costituire una delle prime bande partigiane ed infine Michele Campanella (Gino), prestigioso comandante della volante Severino, col quale Bisagno era in rapporti di estrema confidenza. Comunque, il comandante della Cichero mantenne sempre la sua intransigenza di cattolico osservante, spesso critico, e non sempre a torto, nei confronti di alcuni commissari politici, esprimendo anche pesanti giudizi sugli agit-prop comunisti o loro simpatizzanti. Questo bastava perché alcuni personaggi spregiudicati tentassero di dipingerlo come un “crociato” contro i rossi che tramavano contro di lui nelle boscaglie di Cichero.
Quando Bisagno morì in un banale incidente, dopo aver sfidato la morte in decine di scontri, agguati e combattimenti contro tedeschi e fascisti, qualcuno decise di approfittarne per trasformarlo in un martire di una congiura comunista. Uno dei più attivi interpreti di questo tentativo fu proprio Elvezio Massai (Santo), comandante del Distaccamento Alpino della Brigata Garibaldi Jori. Egli aveva già fatto parlare di sé, in montagna, quale protagonista di un pericoloso episodio. Infatti, in occasione di una riunione del comando divisione con il comando zona, si era presentato in “appoggio” a Bisagno portando con se quasi l’intero distaccamento in armi, nonostante il rifiuto di alcuni partigiani. L'accesa riunione non degenerò grazie al buon senso dei più mentre il comportamento di Santo fu stigmatizzato da tutti, persino da Stefano Malatesta (Croce), il comandante della brigata Jori, fedelissimo di Bisagno, che cacciò dalla propria formazione l’intero distaccamento di Santo. A guerra finita, quest’ultimo assunse alcune iniziative tendenti a dimostrare che la morte di Bisagno era dovuta ad un attentato.