La Carnia (in friulano Cjargne) è una regione storico-geografica del Friuli Venezia Giulia settentrionale, al confine con l’Austria, compresa nella provincia di Udine. E’ una regione montuosa occupata in gran parte dalle Alpi Carniche, impervia e isolata, e presenta sovente svantaggiose condizioni climatiche caratterizzate da venti impetuosi e da forte piovosità.
La storia della Portatrici Carniche si colloca tra l’Agosto del 1915 e l’Ottobre del 1917. In quel periodo l’Esercito Italiano era così schierato: due Armate (1° e 4°) sul fronte Trentino; due Armate (2° e 3°) sul fronte delle Alpi Giulie; un Gruppo Speciale al centro (XII Corpo d’Armata) in Carnia e in Val Fella; una riserva d’Esercito tra Desenzano, Verona e Bassano. Grande importanza aveva il fronte che correva dalle sorgenti del Piave a quelle del Natisone, comprendente le valli dell’alto Tagliamento, del Degano, del But e del Fella. Questa era la Zona Carnia, formata da 31 battaglioni, ed era talmente vitale da essere posta alle dirette dipendenze del Comando Supremo. Il valore di tale Zona consisteva nel fatto che, realizzando uno sfondamento a Passo Monte Croce Carnico, l’Esercito austriaco avrebbe avuto via libera nelle valli del But e del Chiarsò, considerate le porte principali per l’invasione dell’Italia. Tale consapevolezza l’aveva anche lo Stato Maggiore di Vienna, tanto è vero che in tutti i piani operativi – ancora in tempo di pace – gli austriaci attribuivano un’importanza strategica alla Zona Carnia. E’ bene sottolineare che l’attività della Portatrici si interruppe nel 1917 quando, il 27 ottobre, i difensori di questo fronte caldo dovettero ritirarsi lasciando le posizioni, che mai avevano perduto, perché aveva ceduto il fronte dell’Isonzo difeso dalla 2° Armata ed i soldati di Carnia dovettero ripiegare per non essere presi alle spalle.
La forza media presente in questi territori si aggirava intorno ai 10-12 mila uomini. Essi dovevano essere vettovagliati ogni giorno, riforniti di munizioni, medicinali, attrezzi vari e così via. I magazzini ed depositi militari erano dislocati in fondovalle e non c’erano rotabili che consentissero il transito di automezzi né di carri trainati da animali. L’unico sistema per raggiungere la prima linea del fronte, in alta montagna, era il trasporto a spalla seguendo sentieri e mulattiere. Ma dato che per effettuare questi trasporti non si potevano sottrarre militari alla prima linea senza danneggiare l’efficienza operativa, il Comando Logistico della Zona e quello del Genio furono costretti a chiedere aiuto alla popolazione civile. Tutti gli uomini validi erano alle armi, rimanevano a casa solo donne, vecchi e bambini. La situazione era critica e le donne non esitarono a raccogliere il disperato invito. Si misero quindi a disposizione dei Comandi Militari: “Anin”, dicevano, “senò chei biadaz a murin encje di fan” (andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame). Venne così costituito un Corpo di ausiliarie, le portatrici carniche, formato da donne di età compresa tra i 15 e i 60 anni, della forza pari a quella di un battaglione di circa 1000 soldati.
Queste donne non furono mai militarizzate, cioè non furono costrette al lavoro per forza di legge o soggette alla disciplina militare. Ma la disciplina ferrea che si autoimponevano durante le marce fu delle più esemplari. Furono munite di un libretto personale di lavoro sul quale i militari addetti ai vari magazzini, segnavano le presenze, i viaggi compiuti, il materiale trasportato in ogni viaggio; furono anche dotate di un bracciale rosso con stampigliato lo stesso numero del libretto e con l’indicazione dell’unità militare per la quale lavoravano. Per ogni viaggio ricevevano il compenso di lire 1,50 centesimi, pari più o meno a 3,50 euro, che venivano corrisposti mensilmente. In caso di emergenza, potevano essere chiamate a qualsiasi ora del giorno o della notte. Dovevano presentarsi all’alba di ogni giorno presso i depositi ed i magazzini nei fondo valle per ricevere in consegna il materiale e caricarlo nella gerla da portare a spalla, una cesta di legno o di vimini munita di due spallacci di fusti di nocciolo e che veniva a pesare 30-40 kg, carica di granate, cartucce, medicinali, viveri e altro materiale. Le donne partivano in gruppi di 15-20 e si inerpicavano sulle montagne dirigendosi verso la linea del fronte. Dovevano superare dislivelli dai 600 ai 1200 metri, vale a dire dalle 2 alle 5 ore di marcia in ripida salita. La disumana fatica diventava ancora più pesante d’ inverno, quando affondavano nella neve fino alle ginocchia. Scaricavano il materiale sostando solo pochi minuti per riposare, riconsegnavano la biancheria fresca di bucato, portata giù a valle a lavare nei giorni precedenti, infine tornavano ad incamminarsi in discesa verso casa. Qualche volta, per il ritorno veniva chiesto alle portatrici di trasportare a valle, in barella, i militari feriti o quelli caduti in combattimento. I feriti erano poi avviati agli ospedali di campo, i morti venivano seppelliti nei cimiteri di guerra, dopo che le stesse portatrici avevano scavato la fossa. Un gruppo di donne fu anche dislocato permanentemente, alloggiato in baracche poco dietro al fronte, a disposizione del Genio militare. Erano impiegate per il trasloco dei materiali necessari ai “lavori del campo di battaglia”: portavano pietrisco, lastre, cemento, legname ed altro per la costruzione di ricoveri, postazioni arretrate e per il consolidamento di mulattiere e sentieri.
Durante il periodo bellico tre di loro rimasero ferite: Maria Muser Olivotto, Maria Silverio Matiz entrambe di Timau del comune di Paluzza e Rosalia Primus da Cleulis sempre del comune di Paluzza. Il 15 febbraio 1916 Maria Plozner Mentil fu invece colpita a morte da un cecchino austriaco appostato a Malpasso di Pramosio, sopra Timau. Fu colpita mentre, assieme alla sua inseparabile amica Rosalia di Cleulis, si concedeva un breve momento di riposo. Aveva 32 anni. Delle portatrici fu riconosciuta “anima” e guida trascinatrice. Sempre in prima fila durante i bombardamenti delle artiglierie austriache per infondere coraggio alle compagne impaurite, madre di quattro figli in tenera età, e sposa di un combattente sul fronte del Carso. Ebbe un funerale con gli onori militari, alla presenza di tutte le portatrici, e fu seppellita a Paluzza.
Il 1° ottobre 1997, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro salì fino a Timau per conferire alle portatrici rimaste in vita la medaglia d’oro al valor militare. Il Preasidente Scalfaro conferì, “motu proprio”, la medaglia d’oro al valor militare alla memoria dell’ Eroina Maria Plozner Mentil quale ideale rappresentante di tutte le Portatrici. Nel suo messaggio di fine anno, Scalfaro aveva ricordato: “Erano lì quelle che sono rimaste, più che novantenni. Ho portato la medaglia d’oro a ciascuna. Mi tremava la mano nel momento in cui cercavo di sistemarla al petto di queste donne”.