Rapelli, Giuseppe

  • Luogo di nascita

    Castelnuovo Don Bosco

  • Luogo di morte

    Roma

  • Biografia

    Nato a Castenuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) il 21 ottobre 1905, deceduto a Roma il 17 giugno del 1977. Giuseppe Rapelli si trasferisce a Torino in seguito alla morte del padre e milita fin da giovanissimo nelle file della Gioventù cattolica arrivando alla carica di delegato diocesano per le attività sociali. Il precoce interesse per i problemi sociali e sindacali lo porta a iscriversi - quando inizia a lavorare presso i docks dello scalo Torino-Dora - al sindacato cattolico degli impiegati e commessi, di cui ricopre, appena diciottenne, la carica di segretario cittadino. Nei primi anni venti, quando la violenza fascista si fa sentire anche sulle organizzazioni sindacali "bianche", Rapelli diviene una figura di spicco dell'Unione del lavoro di Torino fino ad assumerne la segreteria nel dicembre del 1924. Da segretario persegue la linea delle intese interconfederali tra sindacati "bianchi" e "rossi", che a Torino consentono al fronte sindacale di reggere al fascimo fino all'estate del 1925. Negli anni successivi, quando gli spazi operativi si riducono sempre di più, la battaglia di Rapelli si sviluppa principalmente attraverso il periodico "Il lavoratore. Rassegna mensile del movimento operaio", da lui fondato nel gennaio del 1926 e diretto con la collaborazione di Gioachino Quarello, Maria Luda, Rodolfo Arata. Dal febbraio del 1926 entra a far parte con Achille Grandi e Giovanni Gronchi entra del triumvirato che regge le sorti della Confederazione italiana dei lavoratori (CIL), sciolta però dal fascismo nello stesso anno. Dopo di allora si ritira a vita privata, anche se fino al 1937 viene sottoposto a sorveglianza particolare essendo stato incluso nel novero dei sovversivi. Ritornato alla vita pubblica alla caduta del fascismo, ha una parte di rilievo sia nella rinascita del sindacalismo sia nella costituzione della Democrazia cristiana. Sul fronte sindacale divene nel 1945 uno dei tre segretari della Camera del Lavoro di Torino, si impegna nella fondazione delle Acli piemontesi di cui assume la presidenza. Alla morte di Achille Grandi, nel settembre del 1946, diventa il leader della corrente sindacale cristiana nella Cgil unitaria (carica che mantiene fino al 1947). Sul fronte politico entra a far parte, nell'estate del 1945, del Consiglio nazionale della Dc e viene poi eletto all'Assemblea Costituente, dove partecipa alla Commissione dei Settantacinque, lavorando nella III sottocommissione per i problemi economico-sociali. E' rieletto alla Camera fino al 1963. Esponente di spicco della sinistra democristiana, su posizioni vicine a quelle di Giovanni Gronchi, entra in forte contrasto con il gruppo dirigente cattolico, tanto nel sindacato quanto nel partito. Fautore di un sindacalismo che si ispiri alla dottrina sociale della Chiesa, critica la scissione sindacale del 1948 e si pone in minoranza all'interno della Cisl, contestando la leadership di Giulio Pastore. Mentre sul piano politico, allo scoppio della guerra fredda, manifesta posizioni neutraliste e giudica negativamente la svolta "Atlantica" dell'Italia. Progressivamente emarginato dai gruppi dirigenti della Dc e della Cisl, nella seconda metà degli anni cinquanta appoggia la formazione dei Liberi lavoratori democratici e poi del SIDA ( Sindaato italiano dell'auto), subendo l'espulsione dalle Acli nel 1958. Amareggiato dalle delusioni politiche e tormentato da gravi problemi di salute, che lo porteranno lentamente alla quasi totale cecità, si ritira infine a vita privata.


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