Partecipò ai primi scioperi dei metallurgici torinesi e alle agitazioni contro l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale. In quel periodo ebbe stretti rapporti con i gruppi giovanili anarchici di Borgo San Paolo e della Barriera di Milano (quartieri di Torino). Tornato dalla guerra, fu assunto come operaio alla Fiat Spa; partecipò alla occupazione della Fiat nel settembre 1920 e sostenne le posizioni del gruppo che si raccoglieva attorno alla rivista "L'Ordine nuovo", instaurando stretti rapporti con A. Gramsci e gli altri componenti della redazione. Partecipò al dibattito che determinò la scissione della frazione comunista dal Psi a Livorno nel 1921 e aderì sin dalla nascita al nuovo Partito comunista d'Italia. Nel 1922, operaio avventizio elettrotecnico delle Ferrovie dello Stato, fu arrestato e licenziato, dopo di che fece parte del Comitato direttivo della Camera del lavoro di Torino.
Nel 1924 fu segretario della Federazione comunista torinese, sempre continuando a fare l'operaio e partecipando alle agitazioni dei metallurgici del 1924-1925. In quell'epoca fortemente lavorò per la costituzione dei comitato di agitazione e partecipò attivamente alla battaglia per le elezioni delle commissioni interne alla Fiat.
Costretto all'illegalità dal regime fascista. Fu cooptato nel 1929 nel Comitato centrale del Pcd'I, periodo della "Svolta". Sempre in quell'anno diresse il Comitato regionale piemontese. Partecipò al Congresso del Pcd'I tenutosi a Colonia nell'aprile 1931, che lo confermò membro del Comitato centrale; fu eletto allora nell'Ufficio politico del partito. Con Camilla Ravera diresse il Centro interno del partito in Italia, dove fu arrestato il 28 giugno 1931 a La Spezia e condannato dal tribunale speciale a 17 anni di reclusione e a 3 anni di libertà vigilata. Dopo la peregrinazione tra vari istituti di pena (Civitavecchia, Pianosa, ecc..) approdò nel 1939 a Ventotene, dove fece parte del direttivo comunista dell'isola con M. Scoccimarro, P. Secchia, G. Li Causi, Cicalini e G. Pratolongo. Nel 1943 tornò a Torino ed entrò a far parte della segreteria della Federazione. Dopo l'8 settembre 1943 fu inviato dal partito nel biellese a ricoprire importanti incarichi nella direzione delle Brigate Garibaldi. Tornato aTorino, fu cooptato nella segreteria torinese del partito alla fine del 1944 con l'incarico di dirigere il lavoro di massa e la costituzione del comitati di agitazione nelle aziende. Ebbe un ruolo di rilievo nello sciopero preinsurrezionale del 18 aprile 1945 a Torino.
Dopo la liberazione, fece parte della gestione commissariale della Fiat nominata dal Cln piemontese; in quella funzione di commissario straordinario diresse i servizi sociali dell'azienda, carica che continuò a ricoprire in qualità di dirigente anche quando la proprietà dell'azienda fu restituita alla famiglia Agnelli. Mutati i rapporti di forza, Santhià fu licenziato per rappresaglia il 30 dicembre 1952. In seguito fu eletto nella Commissione centrale di controllo del Pci e continuò a far parte degli organismi direttivi della Federazione torinese.
Ha scritto il libro "Con Gramsci all'Ordine nuovo", Roma 1956.
Sposato con Lucia Rosso, anch'essa comunista e partigiana, deceduta il 22 settembre 1964.
(Notizie in buona parte riprese dal volume: "Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943", a cura di Franco Andreucci e Tommaso Detti, Vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1978, pp. 504-507 (biografia scritta da G. Sapelli)
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