Spiotta, Vito

    Data di esistenza

    Data di nascita : 20/04/1904

    Data di morte: 11/01/1946

  • Luogo di nascita

    Gioia Tauro (RC)

  • Luogo di morte

    Genova (GE)

  • Biografia

    Umberto "Vito" Spiotta nasce a Gioia Tauro (RC) il 20/04/1904. Come il suo futuro braccio destro Enrico Podestà è troppo giovane per prendere parte al movimento fascista delle origini, al contrario del più anziano squadrista Giuseppe Righi che diventerà uno dei suoi peggiori aguzzini. Entra nel Partito nel 1925 con la "seconda ondata", dopo le tappe obbligatorie dell'Opera Nazionale Balilla e un diploma da geometra. Forse l'ingresso nel Partito dipende più che altro da motivi opportunistici, infatti fino al novembre 1943 non svolge alcuna attività politica degna di rilievo.
    Dopo un breve periodo come segretario politico nella Casa del Fascio di Corio Canavese (TO), dove si trasferisce per poco con la famiglia, negli anni Trenta si trasferisce a Chiavari (GE)  e qui diventa titolare di una piccola fabbrica di bachelite che produce involucri di esplosivi. L'attività si dimostra quasi da subito coperta di debiti e prossima al fallimento, fattore determinante per il seguente passaggio nel Partito Fascista Repubblicano. Tuttavia, che lo Spiotta non si sia mai occupato di politica fino all'armistizio è lecito dubitarne, perchè già nel febbraio 1943 è oggetto di una segnalazione alla Questura compiuta dal commissariato di Polizia di Chiavari, a dimostrazione che qualcuno ha cominciato ad inquadrare il personaggio. Vi si legge, tra il resto:
    "Il Commissariato di P.S. di Chiavari comunica che la sera del 21 corrente, alle ore vento, lo squadrista Vito Spiotta, rincasando, ha trovato fra i battenti della porta dell'abitazione due foglietti di carta [...] con le seguenti scritte sovversive a stampatello:
    Fascisti e squadristi, è giunta l'ora di sistemarvi. Tu e la tua simpatica Ida e compagni. Presto avremo una grande e bella soddisfazione di vedervi impiccati e bruciati in piazza. Se vi preme la pelle cominciate a fare i preparativi prima che sia troppo tardi. Ogni giorno che passa s'avvicina la vostra ora. Presto avremo la nostra rivincita. Se vuoi salva la vita pensaci, finchè hai tempo".
    L'avvertimento non solo non ha alcuna delle conseguenze sperate, ma produce l'effetto contrario. Stringe amicizia con Livio Faloppa, poi federale di Genova e comandante della Brigata Nera "Silvio Parodi", e il 23/09/1943 si iscrive al Pfr. Diventa presto segretario politico del Fascio di Chiavari e riorganizza il Pfr chiavarese che, nel dicembre 1943, istituisce la centuria "Bir el Gobi" e successivamente la squadra d’azione "Ettore Muti", formata da numerosi fascisti del chiavarese.
    Nell’estate 1944 diviene vicecomandante della 31ª Brigata Nera "Silvio Parodi" e comandante del 3° battaglione. Fonda e dirige il giornale Fiamma repubblicana che si distingue per una virulenta propaganda antipartigiana e antisemita, attaccando ferocemente anche numerosi parroci della zona, accusati di collusione col movimento resistenziale, nonchè i Carabinieri ritenuti doppiamente traditori sia per essere stati fedeli al Re, sia per avere rifiutato di indossare la camicia nera.
    Solerte collaborazionista, Spiotta partecipa attivamente ai rastrellamenti nella zona, in appoggio ai reparti germanici, alla Gnr e alla Monterosa di cui è grande alleato, e organizza una rete di spionaggio, divenendo  tristemente noto per la ferocissima crudeltà e delinquenza criminale nei confronti dei prigionieri, sottoposti a torture e vessazioni. Ad esempio, è personalmente responsabile dell'eccidio compiuto sulla spiaggia dell'Olivetta a Portofino (GE) il 02/12/1944: assieme alla sua "Squadra della morte" preleva 22 ostaggi dalle carceri genovesi di Marassi, li fa sbarcare sulla spiaggia da due imbarcazioni e massacra barbaramente i giovani. Quindi li avvolge in reti metalliche attaccate a dei pesi e getta al largo i cadaveri. Nonostante i numerosissimi testimoni di questa e di altre barbarie compiute dal suo gruppo (incendi, saccheggi, arresti arbitrari, torture, uccisioni), fino alla fine Spiotta tenta di scaricare le responsabilità sul comando militare nazifascista di Genova sostenendo di non aver mai ordinato personalmente alcuna di queste azioni.
    Catturato nei giorni della Liberazione, è processato dalla Corte d’assise straordinaria di Chiavari che lo condanna a morte. Spiotta si proclama innocente e tenta il ricorso in Cassazione, ma la domanda viene respinta. La sentenza viene eseguita il 11/01/1946 al poligono genovese di Quezzi e il plotone d'esecuzione è composto da 22 partigiani del chiavarese. Assieme a lui vengono fucilati Giuseppe Righi ed Enrico Podestà.
    Il sadismo più efferato viene raggiunto, dallo Spiotta e dai suoi aguzzini, nell'uso sistematico e "scientifico" della tortura: gli strumenti preferiti sono spranghe di ferro, fruste, carrucole per appendere i torturati, fiaschi di acqua sporca, sigarette accese e terribili pestaggi. Le violenze sono tali che anche chi sopravvive nell'immediato muore in realtà pochi anni dopo, a causa delle eccessive lesioni interne e attraverso indicibili sofferenze come Luigi Massucco (Battagià o Grigio II), partigiano della Brigata Garibaldi "Dall'Orco" della Divisione Garibaldi "Coduri".
    Muzio Quillici, colpevole di aver raccolto dei manifestini aviolanciati dagli americani, viene percosso a sprangate dalla banda di aguzzini nella Casa del Littorio di Chiavari che infine gli sparano. L'uomo sopravvive e gli altri, credendolo morto, lo gettano sotto un cipresso. Durante il processo a Spiotta nell'immediato dopoguerra il becchino del cimitero testimonia contro di lui: conferma che spesso all'alba trovava cadaveri sparsi nel camposanto senza alcun documento di riconoscimento e, chiesti una volta chiarimenti su come comportarsi, gli venne risposto che se non voleva fare la stessa fine era più opportuno non fare storie. L'uomo salva Muzio Quillici e grazie a ciò, sebbene segnato irrimediabilmente nel fisico, è anch'egli in grado di inchiodare i carnefici al processo. Questi non possono negare i fatti di fronte al "redivivo", ma Spiotta ha il coraggio di sostenere di aver sempre fatto del bene e di avere risparmiato numerose vite umane trasgredendo agli ordini impartitegli. Un altro sopravvissuto è Luciano Bolis (Fabio), ispettore regionale delle Brigate Giustizia e Libertà che, caduto nella rete dello Spiotta, per sottrarsi alle sevizie e non farsi strappare alcuna informazione sui compagni si recide le vene dei polsi e la carotide con una lametta da barba. Quasi dissanguato sopravvive, ed al processo aggiunge la sua voce al lungo elenco degli accusatori dei massacratori chiavaresi.

    Fonti: Antonini, Sandro, "La "Banda Spiotta" e la Brigata Nera genovese "Silvio Parodi". Una anatomia dei crimini fascisti: 1943-1945", De Ferrari Editore, Genova 2007, pp. 15-33;

    Documento dattiloscritto con sintesi dell'operato di Spiotta, Righi e Podestà conservato nel fondo "Bartolozzi-Divisione Garibaldi Coduri", busta 1, fascicolo 12, presso l'Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea, Ilsrec, di Genova.