Giorgina Levi intervista Mario Liboi, figlio di Antonio sulla sua attività politica e partigiana. Mario Liboi ricorda che nel settembre 1944 venne chiamato alle armi con la leva del 1926 nonostante lavorasse già come odontotecnico e fosse invalido del lavoro. Scappò dall’ospedale militare e si rifugiò a Carmagnola dove era sfollato con la famiglia. A quel punto il papà Antonio svelò la sua appartenenza al movimento antifascista e comunista cosa che aveva sempre tenuto nascosta per motivi di sicurezza reciproca. All’inizio faceva riunioni in casa, poi la casa venne bruciata dai fascisti per rappresaglia e lui si unì alla brigata 103 Garibaldi. La sua attività era quella di interrompere le comunicazioni stradali, ferroviarie e di propaganda. Arrestato dai fascisti, venne portato alla caserma Cavalli a Torino e nel gennaio 1945 spostato alle Nuove in una cella con due brande e 7 prigionieri nel 5° braccio dove erano quasi tutti prigionieri politici organizzati in cellule. L’intervista prosegue con un lungo racconto della vita dei prigionieri fino al 20 aprile 1945, giorno in cui vennero sospese sia le esecuzioni sia i pestaggi. Liboi ricorda la notte di pioggia del 24 aprile, quando alle Nuove scomparvero tutte le guardie; il mattino dopo un ‘autoblinda garibaldina entrò nel cortile del carcere e iniziò la scarcerazione dei politici. Lui ricorda di essere riuscito ad uscire solo alla sera del 30 aprile. Nella seconda parte dell’intervista Mario Liboi l’esperienza di Villa Robilant, proprietà della Fiat, bombardata e semidistrutta che venne concessa alle Commissioni Interne. Giorgina Levi chiede un giudizio politico sull’esperienza di Villa Robilant. Liboi racconta la contrapposizione tra i militanti “anziani” del PCI e i giovani della FGCI.