Teresa Bosco nasce il 27 luglio 1900 a Torino, alla Madonna del Pilone. Nell’intervista ripercorre, su richiesta di Giorgina Levi, i primi anni della sua vita, ricordando persone ed episodi di vita del quartiere. Ricorda di aver frequentato l’asilo Regina Margherita, gestito da Tota Pineta e dalla madre; parla di sé stessa bambina mentre andava a raccogliere i girasoli che, puliti dalla madre, vendeva ai vicini di casa; ricorda le violette raccolte nei campi insieme ad Albina Caviglione e vendute poi alle signore che passeggiavano nel borgo. Si sofferma su un lungo elenco di nomi di abitanti del quartiere nei primi anni del ‘900 (Rovei, il traghettatore, Rina Gramaglia, il falegname Giovanni Lorenzetto, Elvira, Libero e Bruno Dolcini con il loro negozio, il pittore Felice Piovano, Giacinto Cochis, proprietario di una fabbrica di frigoriferi; Ada Dutto, il capomastro Luigi Martini, l’orefice Moriondo, Angelo Roggero detto Cadorna perché giocava alla guerra con i compagni, il meccanico Rodolfo Roba, la Marchesa di Bouville, dama di compagnia della regina Margherita e benefattrice, il conte Aghemo di Perno benefattore, il dottor Herr, medico condotto, che lavorava anche per della società di mutuo soccorso De Amicis, il professor Carle che aveva una villa ed era un benefattore della scuola di quartiere); ricorda il servizio di muli per raggiungere Superga, prima della costruzione della funicolare, il treno che passava in corso Casale, diretto a Chivasso e a Gassino e la rimessa dei treni della compagnia “belga” in via Bardassano. Parla del rito della distribuzione del pane e delle candele ai poveri che partecipavano ai funerali alla chiesa della Madonna del Pilone e della festa patronale nel borgo, l’8 settembre, con il ballo, il banco di beneficenza, e le giostre. Ricorda, Teresa Bosco che gli abitanti del borgo erano in maggioranza poveri e molti di loro lavoravano alla fabbrica Ghidini che produceva paramenti e preziosi ornamenti prevalentemente in seta per le chiese; la sua famiglia, in casa, preparavano le frange dorate per i paramenti che poi portavamo in fabbrica. Ricorda Emilio Salgari, basso, molto elegante, con le scarpe con i tacchi, un cappello a cilindro e un bastone con un grosso pomolo, che andava a scrivere i suoi romanzi in collina.
L’intervista termina con un accenno, piuttosto disturbato, al cimitero di Sassi e al suo allargamento.