Fondazione Carlo Donat-Cattin - Polo del '900

"Appunto preliminare sulla situazione economica dopo i rinnovi contrattuali dell'autunno sindacale", [1970]

Unità archivistica
  • Segnatura archivistica

    FCDC TO Archivio Carlo Donat-Cattin 574

  • Data

    [1970]

  • Note

    sul verso appunti manoscritti di Donat-Cattin.
    Testo:
    A) Congiuntura contrattuale
    - Sono noti i punti salienti della politica rivendicativa dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori;
    - aumento dei livelli salariali;
    - passaggio ad un orario effettivo settimanale di 40 ore;
    - assemblee di fabbrica;
    - estensione dei diritti di contrattazione e di organizzazione sindacale.
    1 - La riduzione dell'orario di lavoro a parità di retribuzione è la risposta alle condizioni del mercato di lavoro caratterizzato da:
    a) la continua riduzione dell'occupazione. In Italia i già bassi tassi di occupazione tendono a ridursi anche se migliora la struttura dell'occupazione (l'aumento del numero dei lavoratori dipendenti non compensa la riduzione che si manifesta nei lavoratori indipendenti e l'incremento di occupazione nell'industria e nei servizi non compensa la contrazione che si manifesta nel settore agricolo). Dal 1956 al 1968 i tassi di occupazione sono diminuiti dal 41,8% al 36% circa. L'interpretazione che viene proposta da qualche parte - secondo la quale l'occupazione diminuirebbe a motivo del progresso tecnico e della diffusione del benessere - si dimostra parziale e per nulla confermata dai confronti internazionali giacché nessun paese dell'OCSE segnala tassi di riduzione dell'occupazione pari a quelli italiani;
    b) la scarsa utilizzazione del potenziale di lavoro disponibile in alcune regioni.
    Infatti persiste:
    - un alto numero di disoccupati e di persone in cerca di prima occupazione;
    - la scarsa partecipazione delle donne alle attività produttive (in 10 anni riduzione del tasso di occupazione femminile è passato dal 26,2% al 19%);
    - alta aliquota di lavoratori occupati in maniera marginale e comunque occasionale;
    c) la incapacità della nostra economia di utilizzare adeguatamente i fattori di cui dispone è dimostrato dal fatto che il nostro paese è congiuntamente esportatore di capitali e di lavoro. Negli ultimi dieci anni oltre due milioni di lavoratori hanno lasciato i paesi di origine e nonostante la forte emorragia si manifesta ancora una propensione ad emigrare.
    2 - L'aumento retributivo tiene conto dell'andamento che il nostro sistema economico ha registrato negli ultimi tre anni, ed appare perfettamente sopportabile. Nel 1967 e nel 1968 mentre il reddito nazionale al costo dei fattori è aumentato in termini di moneta corrente del 17,5%, le retribuzioni lorde sono cresciute del 15,1% e gli oneri sociali del 26,9%. Va ulteriormente precisato che essendo aumentato negli anni 1967 e 1968 il numero dei lavoratori dipendenti - passati da 12,4 milioni a 12,8 milioni di unità - le retribuzioni lorde pro-capite (ottenute dividendo l'ammontare delle retribuzioni lorde per il numero dei lavoratori dipendenti) sono aumentate soltanto dell'11,6% in termini di moneta corrente. In termini di monete costanti - depurando l'incremento conseguito delle variazioni del metro monetario - la retribuzione media pro-capite del lavoratore dipendente risulta aumentata solo del 7,1%. Ciò vuol dire che nel corso degli ultimi due anni ai lavoratori dipendenti è andata una fetta notevolmente inferiore di quella assegnata agli altri percettori di reddito e che pertanto si sono create, senza essere distribuite sotto forma di maggiori salari o di riduzioni di prezzo, notevoli riserve di produttività.

    L'incremento registrato negli oneri appare più che proporzionale all'aumento delle retribuzioni; esso infatti è in parte attribuibile a:
    a) l'aumento delle aliquote contributive registrato nel corso del 1967 e del 1968 parzialmente compensato - e soltanto per le aziende operanti nel Mezzogiorno - dallo sgravio intervenuto il 1/9/1968, le aliquote sono passate dal 33% delle retribuzioni lorde al 38,43%.
    b) gli effetti di struttura dell'occupazione. Lo spostamento di lavoratori dall'agricoltura all'industria, e comunque dalla condizione di lavoratori indipendenti, a lavoratori dipendenti, produce il passaggio di lavoratori che operano in settori gravati da scarsi oneri contributivi a settori ad alta contribuzione, con riflessi sugli oneri più che proporzionali del semplice spostamento delle retribuzioni dal gruppo dei percettori di "altri redditi" al gruppo di "redditi da lavoro dipendenti".

    B) Congiuntura economica
    Il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalle O.S.L.: più alti tassi di occupazione e redistribuzione del reddito prodotto, rischiano, come già accadde nel 1963 e '64, di essere vanificati dalla inazione delle forze di governo e dal recupero che gli imprenditori cercheranno di effettuare nei prossimi mesi.
    1 - L'indagine previsionale sull'occupazione nell'industria per il 1970, alla quale hanno partecipato tutte le aziende italiane superiori a 500 dipendenti indica una previsione di aumento del 3,9%.
    In particolare:
    Italia settentrionale +3,7%
    Italia centrale + 3,4%
    Italia meridionale ed insul. + 5,9%
    I settori più dinamici apparirebbero quelli chimico, metalmeccanico e delle attività diverse per i quali l'incremento previsto sarebbe rispettivamente del 3,4, del 4,7 e del 5,4%.
    Modesto incremento registrerebbero invece i settori tessile e abbigliamento, costruzioni, elettricità, gas ed acqua, mentre una regressione sarebbe prevista per i settori estrattivo ed alimentare.
    Se queste appaiono le previsioni di occupazione nel breve periodo, presumibilmente come immediata risposta alla riduzione degli orari di lavoro, alla limitazione degli straordinari, sembra ragionevole prevedere che nel più lungo periodo le aziende adotteranno provvedimenti di riorganizzazione produttiva "risparmiatrici di lavoro", anche in conseguenza dei considerevoli aumenti retributivi accordati in occasione dei rinnovi contrattuali.
    È possibile pervenire ad un insieme di misure coerente a breve e medio termine capace di consentire le necessarie riorganizzazioni produttive e di sostenere i livelli di occupazione?
    2 - Taluni affermano che gli aumenti salariali hanno posto in causa l'esistente equilibrio dei prezzi. Questa rottura imputabile soltanto in parte agli aumenti connessi ai rinnovi contrattuali deve considerarsi una condizione drammatica o può ritenersi accettabile?
    Equilibrio e stabilità debbono essere una funzione continua o non è preferibile avere una visione di equilibrio di più lungo periodo che includa più o meno deliberatamente momentanei e temporanei squilibri?
    I salti qualitativi e quantitativi che deve compiere la nostra economia si raggiungono meglio con una evoluzione graduale senza alterazioni della struttura produttiva con momenti di rottura che costringono a ripensare i termini e le condizioni della crescita del sistema.
    3 - ove un certo grado di inflazione si accompagni a squilibri non accentuati nella bilancia dei pagamenti si può evitare il contenimento e la riduzione drastica della domanda globale per consumi e per investimenti? La situazione di oggi, diversamente dal 1963, è caratterizzata da un diverso contesto dell'economia internazionale. Ci sono movimenti nelle parità monetarie inglese, francese e tedesca ed il grado della interdipendenza dei mercati monetari internazionali ha subito sensibili mutamenti.
    - Si è costituito un mercato internazionale dei capitali a breve e medio periodo di portata gigantesca.
    - Le misure deflazionistiche negli USA hanno portato ad abnormi aumenti del saggio di sconto e di interesse.
    - La nostra bilancia segna squilibrio per la funzione attrattiva esercitata dal mercato dell'eurodollaro.
    - I cambi fissi sono ritenuti il veicolo dell'inflazione importata per cui si parla sempre più frequentemente dei cambi flessibili come strumento per non importare inflazione e per affrontare problemi di competitività internazionale.
    - Difettiamo di capitali e di credito per finanziare gli investimenti proprio nel momento in cui sono indispensabili per fronteggiare con la crescita della produttività gli incrementi del costo lavoro per unità di prodotto.
    Si può quindi affermare che acutizzandosi i problemi di equilibrio interno ed esterno si impongono determinate scelte.
    Ove non si ponesse una scelta drammatica si potrebbero adottare misure a breve che non incidano sul livello di crescita e di occupazione e limitare al minimo gli effetti sui prezzi, impostando un programma che miri ad una struttura produttiva qualitativamente diversa?
    Il recupero a medio termine dovrebbe puntare più sull'innovazione o sulla razionalizzazione, più sul consumo interno o sulle esportazioni in vista di disporre di riserve eccedentarie, e quanto ci costa, in definitiva, questo preteso fattore di sicurezza?
    Gli inevitabili adattamenti delle dimensioni di impresa (fusioni e concentrazioni selettivamente accordate) evoluzione strutturale, ricerca scientifica e tecnologica, politica regionale, eliminazione delle rendite parassitarie costituiscono gli anelli di una nuova struttura in cui ricomporre l'equilibrio?
    È possibile seguitare ad operare con misure generali ed indiscriminate sul piano creditizio e fiscale o si impone, in vista di certe deprecate spinte verso un'economia di innovazione di operare con misure selettive?
    È sufficiente perseguire tali misure nello spazio nazionale o appare necessario pensare ad un contesto più esteso dato che le compagini multinazionali operano con sempre maggior efficacia all'interno del continente e del nostro paese?

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