Fondazione Carlo Donat-Cattin - Polo del '900

Minuta di lettera di Carlo Donat-Cattin al direttore de «La Stampa» Alberto Ronchey, Roma 10 aprile 1969

Unità archivistica
  • Segnatura archivistica

    FCDC TO Archivio Carlo Donat-Cattin 918

  • Data

    10/04/1969

  • Contenuto

    "Su «La Stampa» del 3 aprile sono stato citato dal suo collaboratore Enzo Biagi per aver proposto di "ridurre le pensioni dei giornalisti".
    Il problema da me sollevato non è quello delle pensioni dei giornalisti; è quello delle alte pensioni alle quali solo una piccola parte dei giornalisti può essere marginalmente interessata.
    A stupire il Paese, quando fosse esattamente informato, non dovrebbe essere perciò la mia iniziativa parlamentare, ma proprio un certo regime di alte pensioni pagate in forza delle leggi sull'assicurazione obbligatoria.
    Quasi tre milioni di assicurati contro l'invalidità e la vecchiaia ricevono pensioni tra le 20 e le 25 mila lire al mese, un altro milione e mezzo tra le 25 e le 40 mila; e la maggior parte di quelle persone ha pagato contributi per trenta, quaranta e più anni e, se mai continua o riprende a lavorare, si vede decurtata una parte di quella spettanza. Non parliamo poi delle reversibilità. Se un operaio o un impiegato che versa i contributi per 13-14 anni, recandosi o tornando dal lavoro, va a finire sotto una macchina e di lì all'altro mondo, non lascia una lira di pensione né alla moglie, né ai figli; e la vedova, con due figli a carico, di un operaio specializzato caduto invece sul lavoro, debitamente riconosciuto, non sempre arriva ad ottenere 50 mila lire al mese.
    Esistono, nello stesso tempo, pensioni talmente cumulabili, sempre per assicurazione obbligatoria, di 800 mila, un milione, un milione e mezzo ed anche più al mese. Tenga conto che dietro quelle pensioni in più di un caso possono esserci contributi versati in misura minore di quanto viene corrisposto in un solo anno.
    Non tema, signor direttore, non amo il livellamento degli uomini e dei loro meriti e sono personalmente contrario ad un unico, elefantiaco istituto previdenziale. Ma le pare giusta la differenza che passa tra il milione e mezzo al mese e le 25 mila lire, sotto il livello della fame, il tutto regolato con leggi coordinate?
     Ebbene, anche per un impegno che ho contratto con gli elettori torinesi, ho sollevato questo problema. Avevo pregato alcuni deputati della Commissione Lavoro di esaminarlo nel dibattito preliminare a quello dell'aula, ma mi accorsi - quando la relazione della commissione fu presentata - che l'argomento era stato soltanto sfiorato.
    Perché?
    L'ho spiegato parlando alla Camera. È una questione che tocca 30-50 mila persone, ma tutte di riguardo: alti funzionari, dirigenti dell'industria privata, dello Stato e del parastato, professionisti, magistrati e, attraverso l'agganciamento ai magistrati, gli stessi parlamentari; e infine alcuni giornalisti.
    Deve un deputato, quando anche sia giornalista, come a me capita, rinunciare a valide impostazioni di fronte a un tanto rispettabile schieramento? Con altri dodici amici ho pensato di no ed ho rilanciato il discorso presentando un emendamento diretto a stabilire un "tetto" massimo di 5 milioni e 200 mila lire annue per le pensioni obbligatorie.
    Non eravamo e non siamo però affezionati a un determinato massimale e neppure al metodo del massimale (che per i giornalisti esiste ed esiste in tutti i sistemi previdenziali dei paesi progrediti). Ho detto alla Camera che, se tutte le pensioni in atto fossero già agganciate alla retribuzione, forse il problema non si porrebbe, rimanendo però il diritto di conoscere: di conoscere il livello delle retribuzioni e delle pensioni. Non a Mosca, dove la borsa non c'è, ma a Wall Street una qualsiasi società che voglia quotare le sue azioni deve rendere pubblici i bilanci con l'indicazione delle retribuzioni reali dei dirigenti.
    Ma da noi la più gran parte delle pensioni in atto non sono agganciate a nulla e dunque la questione delle alte pensioni si pone.
    L'abbiamo posta con l'emendamento che scandalizza, da me ritirato nel momento in cui un ordine del giorno che avevo redatto è stato accettato e presentato dai relatori della legge. L'ordine del giorno, votato all'unanimità dalla Camera, impegna ad affrontare entro tre mesi il problema delle alte pensioni "con criteri di omogeneità e di equità e in rapporto con le condizioni generali della grande massa dei pensionati". Il nostro comportamento, dunque, non appare tanto singolare, se non un solo deputato si è sentito di ripudiarlo.
    Non voglio ancora abusare della sua attenzione per replicare a una serie di rilievi particolari, ma da ultimo mi consenta, signor direttore, di rammaricarmi per un metodo. Quando il signor Biagi voglia discutere con me di politica internazionale, e della deplorevole operazione di politica di blocco, iniziata a Praga il 21 agosto e oggi intensificata - nel più perfetto e reciproco non intervento americano - lo faccia con argomenti e mi troverà a sua disposizione. Citare, invece, quattro parole avulse da un ragionamento è un metodo non adatto al tono civile del suo giornale.
    Per il resto, signor direttore, ho sufficiente spirito di comprensione, anche perché le arguzie sul mio cognome riecheggiano quelle che, ragazzo, dovevo sentire da un centurione dell'Opera balilla. E vengo alla proposta personale di Enzo Biagi. Non ho difficoltà ad accoglierla. Per quanto mi riguarda metto a sua disposizione, signor direttore, a partire dal primo maggio prossimo, il 15 per cento della mia retribuzione parlamentare e invito il signor Biagi a fare altrettanto per i suoi emolumenti. Tutte e due le invieremo dopo di allora le richieste di contributi e aiuti che ci perverranno e lei provvederà con la somma a disposizione nel limite del giusto. La prego fin d'ora di volermi restituire quelle sollecitazioni da me inoltrate che non riuscisse a soddisfare.
    Le invio, caro direttore, un saluto caloroso e il cordiale riconoscimento della crescita di tono e di obiettività del suo giornale e la ringrazio della pubblicazione.
    Carlo Donat-Cattin
    P.S. Allego copia della lettera sulla questione delle indennità parlamentari che con 25 deputati della sinistra dc, il 13 novembre scorso, ho inviato al presidente del nostro gruppo parlamentare e i resoconti stenografici delle sedute parlamentari di venerdì 28 e sabato 29 marzo con i miei interventi".


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