Fondazione Carlo Donat-Cattin - Polo del '900

Minuta e copia di lettera di Carlo Donat-Cattin al direttore responsabile de «Il Sole 24 Ore» Alberto Mucci, Roma 16 novembre 1976

Unità archivistica
  • Segnatura archivistica

    FCDC TO Archivio Carlo Donat-Cattin 934

  • Data

    16/11/1976

  • Contenuto

    "Sono uno di quelli che non ha letto finora, se non per quel che viene riportato da alcuni quotidiani, una intervista che L'Espresso ha voluto avere da me: e gli stralci superano ogni mia pessimistica previsione sulla capacità deformante del radicalismo applicato alla professione giornalistica.
    Ho letto che proporrei di "immettere 50 nuovi Consiglieri nazionali nella Dc", cosa che non interessa il suo giornale, ma che è forse l'espressione più evidente della sicumera con la quale si crede di aver capito e di poter interpretare quando non si è prestata attenzione.
    Per le affermazioni che il suo giornale critica (come mie) posso precisare:
    1) Non mi è passata neppure per l'anticamera del cervello l'idea di sollecitare il rifinanziamento della legge 464; assai più semplicemente ho chiesto la stipulazione dei mutui per finanziamenti già deliberati ad esaurimento della legge. Sono in parte notevole applicazione di accordi sindacali, alcuni di notevole rilevanza. La non applicazione comporta gravi conseguenze economiche, sociale (sic) e politiche.
    2) Per quanto riguarda la legge 623; è già rifinanziata, essendo stata assorbita nel Fondo di sviluppo istituito dalla legge 183 del 1976. Quel fondo ha difficoltà di funzionamento per mancanza di provvista agli istituti di credito a medio termine. L'erogazione dovrebbe essere quella prevista dalla legge e dal decreto delegato sugli incentivi (disponibilità di contributi per 1080 miliardi complessivi in 4 anni).
    3) A fronte di un probabile intervallo di tempi prima di vedere in funzione la legge che va sotto il nome della ristrutturazione (almeno fino all'ultimo trimestre del 1977), ho richiamato la necessità che nel corso dello stesso 1977 si colmi il vuoto dando corso agli impegni già contratti (quelli dei due punti precedenti).
    4) Ho ricordato l'ingente domanda che si è accumulata in questi mesi per mutui sulla 623 (mi si dice, circa 8 mila miliardi) per indicare, pur con quelle limitazioni e cautele che le circostanze confrontate con un dato del genere comportano, una persistente propensione agli investimenti indotta dal mercato (quello dell'esportazione soprattutto).
    5) Quanto alla fiscalizzazione, ritengo che essa valga per una riforma della struttura del costo del lavoro italiano orientata a normalizzarla rispetto a quella europea. Una fiscalizzazione congiunturalmente valida deve interessare 2400-3000 miliardi, la cui copertura ritengo ottenibile senza modificazioni dell'IVA o con lieve incidenza sull'IVA, riducendo a poco, con determinati accorgimenti, l'effetto inflazionistico.
    6) Al redattore dell'Espresso ho ribadito una mia convinzione: sarebbe positivo un prelievo anche superiore a quello preventivato dalla parte della domanda per consumi interni, se usato in parte per un rilancio di investimenti e in parte per rendere più penetrante la nostra produzione rispetto alla domanda estera. Nel quadro di tale manovra, una riduzione dei tassi sarebbe perfino naturale. Non vi sono molte altre strade per evitare la deflazione secca, con tutte le conseguenze, comprese quelle occupazionali, che, in un paese democratico, sono essenziali.
    7) La fiscalizzazione non è affatto alternativa, per me, alla legge per la politica, e la ristrutturazione industriale. Non condivido una delle tesi dell'on. Napoleoni, secondo la quale saremmo nell'occasione di distruggere il mercato almeno come induttore di investimenti; ma credo, del pari, che quote d'investimento debbano essere determinato (sic) direttamente e in modo organico dalla domanda pubblica e che il potere politico abbia il dovere di selezionare investimenti agendo a modifica o a sollecitazione dei flussi di mercato.
    La fiscalizzazione, per altro verso, non esaurisce certamente la questione del costo del lavoro per unità di prodotto; è un elemento utile, ma non sufficiente.
    8) Del cambio, credo sia difficile definirlo reale finché esiste un'imposta sulle operazioni in valuta: i prezzi politici sono una distorsione, il cambio politico è la distorsione delle distorsioni.
    Al termine della precisazione, credo che le cose da me dette a L'Espresso e ora richiamate per precisazione, anche se in parte accantonate per le recenti dichiarazioni di governo, abbiano una loro logica. Esiste in ogni caso la necessità di fare ogni sforzo per evitare lo sviluppo zero.
    Nulla di quel che ho detto significa che si voglia continuare come prima, pur non avendo la pretesa - che lascio al suo redattore - di indicare l'unica ed esauriente via per la ripresa economica.
    Nell'attesa di una cortese pubblicazione e con i migliori saluti".

  • Note

    la copia su carta intestata "Il ministro per l'Industria il commercio e l'artigianato; firma autografa


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