Fondazione Carlo Donat-Cattin - Polo del '900

Minuta di lettera di Carlo Donat-Cattin al direttore de «Il Sabato» Luigi De Fabiani, Roma 9 luglio 1981

Unità archivistica
  • Segnatura archivistica

    FCDC TO Archivio Carlo Donat-Cattin 951

  • Data

    09/07/1981

  • Contenuto

    "Ho letto la "Lettera al giornale", con la replica redazionale, su Il Sabato n. 23 del 13 giugno 1981: lettera aperta alla Dc. Non mi ha sorpreso quello scritto, perché corrisponde a idee, che in più di un caso insorgono nella pubblicazione da lei diretta senza essere state manifestate così apertamente. Mi voglia consentire un sommario esame di quel testo esemplare.
    Paola De Berardinis è delusa perché "noi cattolici non contiamo più niente: siamo diventati inincidenti nel sociale (e) sulla coscienza del popolo". Di chi la responsabilità? Si chiede. "Non andiamo a cercare troppo lontano... Che cosa ha fatto la Dc per formare una coscienza (cristiana)? A che coscienza vi ispirate? Dai risultati pare che molti di voi hanno votato per l'aborto. Dove sono i valori che furono fondamento del lavoro del Partito popolare italiano sulla società italiana? Ecco da dove viene la mia amarezza: dal 18 maggio esistono i cattolici da una parte, costretti a tenere un cerotto sulla bocca, e i democristiani dall'altra, incapaci di far memoria dei valori in cui dicono di credere. Ci penseremo molto la prossima volta che ci troveremo nella cabina elettorale".
    Fin qui, dunque, la lettera al giornale, che rivela uno stato d'animo discutibile, ma schietto e che ha bisogno di precisazioni e chiarimenti, prima di tutto il chiarimento dei fatti, per essere verificato.
    La risposta del giornale è quel che colpisce. Per una prima parte essa è piana: chi si è battuto nel referendum per la vita ha incontrato una moltitudine di uomini e di donne e, con lealtà e con coraggio, con mezzi limitati a confronto di quelli formidabili degli avversari, ha fatto chiarezza; i cattolici militanti e coerenti sono minoranza; la società italiana si va configurando per la distruzione di essenziali valori umani. Mi sento d'accordo.
    Vediamo la seconda parte della risposta. Il referendum - dice il giornale - ha fatto chiarezza anche sul rapporto tra Dc e cattolici. "La Dc è un partito politico di maggioranza che ha ... la gestione del potere; i cattolici sono un'altra cosa: sono minoranza, non hanno il potere e vedono disattesi dallo Stato anche elementari valori umani". "In cambio riguadagnano (un) diritto: di avere una coscienza". Codicillo: nel referendum "non siamo stati credibili perché ci è stato addossato il peso della storia e dei compromessi del cattolicesimo italiano. Con la sconfitta "riguadagnamo" la credibilità che spetta a chi parla non in nome del potere (che non abbiamo)".
    Le prime osservazioni sul quel tipo di ragionamento, se così si può dire, sono abbastanza semplici.
    1) La secolarizzazione della società italiana ha cause complesse, tra le quali in primo piano le attitudini e l'azione, in negativo, del mondo cattolico. È risibile accanirsi contro il partito, che non ha compiti di "formare" uomini e società, ma di creare e mantenere condizioni di libertà per tutti.
    2) La Democrazia cristiana ha responsabilità quale proiezione nel mondo cattolico, nella dimensione laica dell'impegno politico; altre responsabilità sono nate e possono nascere dall'autonoma opera del partito. Nella specifica materia, la Democrazia cristiana ha sostenuto, in ogni occasione, in sede politica e in sede legislativa, le posizioni corrispondenti alla morale cattolica, nella pienezza dei valori umani che essa esalta.
    3) La Democrazia cristiana è andata in minoranza e sul tema dell'unità della famiglia e sul tema della difesa della vita del nascituro. C'è andata non nel 1946 o nel 1948, ma dopo 30-35 anni di governo democratico, quando le modificazioni del costume e, tra l'altro, la secolarizzazione hanno creato condizioni diverse nella società e quando, anche per questo, la posizione della Dc è diventata di per sé meno forte. La Dc si è trovata dunque con forza diversa a gestire (talvolta non trattandole) le questioni poi divenute referendarie sempre su una stessa coerente posizione.
    4) Se fare o no un referendum è problema tattico, sul quale le opinioni e le decisioni si possono diversificare nel tendere a un identico fine. Il referendum sul divorzio fu chiesto dalla Dc. Dopo una lunga trattativa per modificare la legge, finirono per decidere in tre: Fanfani e Moro per il referendum, Rumor contrario, nel valutare le conseguenze negative dell'esito sfavorevole. Quelle conseguenze si sono puntualmente attuate, con l'indebolimento e l'isolamento politico della Dc. Si presti attenzione al fatto che, in quel quadro, nonostante ogni sforzo di recupero, si definì la legge sull'aborto, sempre con la Dc in minoranza.
    Il referendum per l'aborto, poi, è stato chiesto da movimenti cattolici come tali, senza iniziativa della Democrazia cristiana. La Dc, di fronte al referendum è stata naturalmente sulla posizione che ha tenuto in Parlamento. Non è però un caso che, dopo la sconfitta del referendum 1981, la posizione politica della Democrazia cristiana risulti ulteriormente indebolita e si passi, dopo 35 anni, ad un governo non più capeggiato da un cattolico (anche se il sen. Spadolini nella sua vita ha fatto se non di tutto, molte cose). La posizione questa volta meno esposta del partito ha evitato un isolamento globale, come quello del 1974-1975.
    5) il passato, la storia del cattolicesimo italiano, il ricordo dei compromessi squalificano, rendono non credibili? Saremmo stati e saremmo di fronte a gente che non ha coscienza o alla quale (più benevolmente) "viene negato il diritto" di avere coscienza? Da tali assurde, ingiuste e antistoriche affermazioni nasce il frutto avvelenato. La risposta del giornale a Paola De Berardinis e, in definitiva, ai quadri di giovane militanza cattolica che si sono battuti con coraggio nell'ultimo referendum e che, nella sconfitta, hanno una reazione spiegabile, ma non razionale, verso la posizione della Dc, è, in sostanza, una sollecitazione ad abbandonare la Democrazia cristiana. Mi attendo proteste e "distinguo" per questa deduzione, ma è quel che si ricava senza alcuna difficoltà dal testo de Il Sabato al quale mi riferisco, più autorevole perché non firmato. Esso può servire come testo di riferimento ad alcune recenti tesi di Baget Bozzo.
    Lasciare la Dc per andare dove e fare che cosa? Per tornare indietro di un secolo, nella confusione tra religione e politica. Per cancellare un grande un grande e valido patrimonio ideale e storico. Per negare la laicità dell'azione politica che Sturzo realizzò nel Partito popolare. Per chiede all'azione politica compiti che le sono assegnati soltanto dalle visioni totalitarie, non nuova tentazione dei cattolici.
    6) la confusione tra posizione del partito e voti referendari mancati dall'elettorato è probabilmente frutto del risentimento. La Democrazia cristiana ha sempre sostenuto e difeso - come ho ricordato - principi e valori della sua ispirazione, chiedendo chiara delega anche ad una parte dell'elettorato che non li condivideva o non li condivide tutti o del tutto: e che quando è chiamato al voto diretto su singole questioni dimostra questa differenza. Non credo che ci sia "compromesso", questa parola tuttavia demonizzata. Si tratta, invece, del funzionamento del sistema della democrazia rappresentativa, nel quale la delega è strumento fondamentale e razionale: mentre gli strumenti di democrazia diretta sono complemento, da usare con misura per non incorrere nei rischi dell'assemblearismo e della grossolana semplificazione.
    7) ho la radicata convinzione, non da oggi, ma dal 1944, che la Dc non deve avere la sua forza nella netta caratterizzazione cristiana e democratica. Il partito nel promuovere per un terzo di secolo lo sviluppo civile, sociale ed economico del Paese ha compiuto numerosi errori, com'è naturale, ed anche qualcuno in più (non essendo sostanzialmente diverso, nella qualità morale, dal mondo dal quale è stato estratto). Il partito ha però respinto in ogni occasione le proposte e i tentativi di cancellare la sua qualificazione e la sua diversità dagli altri partiti democratici. I cattolici italiani, non dei democratici cristiani di ignota paternità, hanno espresso questo nella dimensione propria della politica tanto o poco, buono o cattivo che sia. Le altre espressioni difese dalla Dc non sono significative sul piano politico e storico.
    La proposta, che emerge dal giornale, giunge fatalmente alla identità tra religione e politica ed è arretrata e non vera. Avrà coscienza chi la vuole attuare, ma una coscienza astratta e confusionaria. Tanto che ne emerge un vivo disappunto rispetto al "potere (che non abbiamo)": facendo sorgere il sospetto che sarebbe un guaio se chi sostiene quella posizione il potere lo avesse.
    La riforma della società materialista nella quale viviamo è problema morale e religioso, delle grandi forze che l'uomo può liberamente suscitare in un ordinamento statale libero. La riforma della Democrazia cristiana non ha problemi da risolvere che passino se non marginalmente per le questioni del referendum sulla famiglia e sulla vita diversi da quelli di tutti i cattolici.
    C'è qualcuno che sostiene il contrario, ma è chi intende laicizzare il partito, nel senso deteriore, del laicismo come ideale avulso da ogni trascendenza.
     La riforma della Dc passa attraverso la forte ripresa della tensione ideale e della capacità di proposta collegata ai valori cristiani e democratici della sua ispirazione: in maggioranza e all'opposizione, come essa già oggi variamente si colloca. Quando anche dovesse collocarsi per alcun tempo, lungo o breve, sistematicamente all'opposizione a livello nazionale - cosa che non è di poco peso, né si scarta con qualche banalità sulle "alchimie politiche" proprio con riguardo al prestigio e all'influenza del movimento dei cattolici in Italia - il destino della Democrazia cristiana e la capacità d'incidenza dei valori propugnati dai cattolici italiani sono legati non già all'abbandono di questo partito per una assai improbabile alternativa politica arcaica e reazionaria, ma alla possibilità di una sua riforma e di un suo rinsanguamento, con immissione sistematica dalle file di una militanza ideale qual'è quella del mondo cattolico e del mondo cattolico giovanile. Origene fu condannato come eretico".
    Allegato: ritaglio de «Il Sabato» del 13 giugno 1981 con la "Lettera aperta alla Dc. Dove sono i valori che fondarono il partito popolare?".


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