Lettera di Carlo Donat-Cattin a Pino Pisicchio, Roma 28 novembre 1990
Unità archivistica
Segnatura archivistica
FCDC TO Archivio Carlo Donat-Cattin 1504
Data
28/11/1990
Contenuto
Risponde al fax di Pisicchio in allegato che contesta una espressione di Donat-Cattin contro il Mezzogiorno e i suoi politici, 28 novembre 1990.
"Sono intervenuto al Consiglio nazionale della Dc sulla linea promossa con te e con tutti gli amici di Forze Nuove, di recuperare la necessaria unità, svanita, man mano, dal tempo del congresso che ha eletto Forlani, non già per l'esistenza di una grossa minoranza, ma per atteggiamenti di dissidenza: dalla promozione delle firme referendarie al rappresentarsi al Senato come gruppo delineato e distinto.
Nel nostro piccolo (ricorderai l'ultimo Saint Vincent) abbiamo fatto uno sforzo notevole per ritrovarci tutti amici.
Segnare la fine di quella piccola guerra interna ripristinando De Mita a presiedere il partito, a nessuno di noi è apparsa la cosa migliore. È toccata a me dirlo, e le ragioni sarebbero anche esistite se De Mita fosse altoatesino.
Ho aggiunto un accenno alle ulteriori difficoltà che chi sta al Nord avrebbe dovuto affrontare nel finora del tutto sprovveduto confronto con le Leghe. È una semplice questione di immagine e di proporzioni alle quali trenta-quarant'anni fa si prestava molta attenzione. C'erano il ministro sardo e calabrese, ma c'erano anche quelli ligure ed emiliano. Oggi abbiamo sette ministri, due presidenti dei gruppi parlamentari, il presidente della Repubblica (democristiano nella radice) e il presidente del Consiglio nazionale espressioni del Sud e quattro ministri del Nord: come partito. Il presidente del Consiglio, il segretario del partito e un paio di ministri sono "centrali". Persone tutte degne, ma l'immagine complessiva si è venuta sbilanciando. E gli incarichi nelle commissioni parlamentari, che tu vuoi ricordare, hanno poca rilevanza rispetto all'immagine: sono i "collocamenti" di ripiego.
Ad un livello diverso, Moro per me avrebbe potuto fare il segretario dc, il presidente della Repubblica e quello del Consiglio, anche simultaneamente, e non avrei sollevato obiezioni.
Così penso che sarebbe stato per te De Gasperi, se fossi nato prima, anche se noi da giovani gli abbiamo fatto un po' di guerra nel partito; ma abbiamo pianto quando morì perché sentivamo, sempre, che senza di lui forse l'Italia non sarebbe stata rifondata nella democrazia.
A livello più basso, bisogna che un partito tenga equilibri territoriali se non vuole sconfiggersi da sé. Specie di questi tempi.
Quanto al resto, caro Pino, la mancata soluzione della questione meridionale spacca ancora in due il Paese e non è soltanto una spaccatura economica. Rileggiti Giustino Fortunato: credo che i cambiamenti sostanziali non siano molti, da allora. Il mio timore è che il partito, anziché riprendere la lotta e l'azione per risolvere la questione meridionale, ne carezzi vizi ed anche virtù, rimanendo fermo al passato. Come ogni meridionalista autentico, di Stoccolma o di Bari, non deve assolutamente volere."
Note
carta intestata "Il Ministro del Lavoro e della previdenza sociale"; firma autografa; nota "Trasmesso per fax"