Nebiolo

  • Storia

    L’azienda viene fondata nel 1880 da Giovanni Nebiolo e Lazzaro Levi con il nome di “fonderia tipografica Nebiolo & comp.” Nel 1888 ne viene mutata la ragione sociale e accanto ai due soci amministratori entrano tre nuovi soci Giuseppe Levi (fratello di Lazzaro), Benedetto Foa (suocero di Giuseppe Levi) e Giuseppe Bedarida.
    Nel 1891 Giovanni Nebiolo esce dalla società dietro riconsegna della quota societaria. È in questi anni che l’arrivo di compositrici che fondono direttamente i caratteri (Lynotype, Intertype, Monotype…) manda in crisi le fonderie di caratteri. La Nebiolo, anche grazie ai frequenti contatti con le tecnologie industriali tedesche, riesce però ad innovare e mantenersi competitiva affermandosi alla fine del XIX come prima impresa tipografica italiana.
    Nel 1918 la Nebiolo si fonde con la Urania, sua diretta concorrente e nel 1919 acquisisce le Fonderie subalpine. Gli anni Venti sono anche un periodo d’intense lotte operaie. In particolare nel 1924 alla sezione Fonderia Caratteri si apre una lunga vertenza sul calcolo del salario e la collocazione professionale degli operai che la direzione vorrebbe nella categoria dei metallurgici e non dei grafici. La vertenza si conclude nel giugno del 1924 grazie all’intervento di Mussolini in persona che chiede il licenziamento di tutti gli operai sancendo una prossimità tra il Consiglio d’amministrazione e il regime che durerà anche negli anni successivi. A seguito di questi licenziamenti di massa, gli impianti della Fonderia caratteri risultano sottoutilizzati, viene decisa una diversificazione della produzione che si manifesta nell’ampliamento dello scopo sociale dell’azienda ormai destinata alla produzione di ogni tipo di macchina utensile con l’obiettivo di fornire al cliente l’intera gamma di materiali necessari a un laboratorio tipografico.
    Nel 1934 la Nebiolo risente in maniera particolarmente negativa delle sanzioni applicate all’Italia per la guerra coloniale in Etiopia visto che le esportazioni rappresentano la metà della cifra di affari dell’azienda. Mario Graziadi Levi, nuovo Amministratore Delegato e Direttore Generale, decide allora d’introdurre lavorazioni complementari al di fuori del campo dell’industria tipografica allargando la produzione della Nebiolo a mozzi per eliche di aeroplani e macchine utensili industriali come torni, affilatrici e piallatrici. Si tratta una scelta imprenditoriale lungimirante che consente alla Nebiolo di continuare la propria produzione anche durante la seconda guerra mondiale (nel 1940 l’azienda viene dichiarata stabilimento ausiliario per l’industria bellica) quando si verifica un generale rallentamento dello smercio di prodotti grafici.
    Durante gli anni immediatamente successivi alla guerra la Nebiolo, non avendo subito grossi danni agli stabilimenti, può sfruttare le possibilità commerciali che si aprono grazie alle difficoltà della concorrenza – in special modo tedesca – e alla forte domanda dovuta alle necessità della ricostruzione. Intense sono le relazioni con l’Argentina dove l’azienda apre addirittura uno stabilimento. Quest’ultima esperienza si rivela però molto effimera, di natura finanziaria più che produttiva a immagine di altre operazioni della Nebiolo di questo periodo, piuttosto dubbie, come l’acquisizione della Fast, della Savant e della Oxal che sembrano dettate più da legami intrattenuti con esse dall’Amministratore delegato Roccatagliata che da una precisa strategia di sviluppo. All’inizio degli anni Cinquanta questa gestione spregiudicata finirà per dare luogo a una crisi di liquidità e generare una bolla di sovrapproduzione concomitante con un calo della qualità dei prodotti della Nebiolo che porta l’azienda sull’orlo del fallimento. Nell’agosto del 1951 lo stesso Roccatagliata viene rinviato a giudizio per percezione di illeciti compensi, truffa, uso di mezzi illeciti d’influenza del CdA e falso in bilancio, reato per il quale sarà condannato in primo grado e infine assolto in cassazione.
    In questi anni di crisi gli operai si mobilitano a più riprese per chiedere il pagamento degli arretrati, pretendere il mantenimento dei posti di lavoro e difendere il patrimonio tecnico dell’azienda. Nel novembre del 1952 viene annunciata la chiusura degli stabilimenti di Orbassano e Rivoli. Quest’ultimo, assieme allo stabilimento di Regina Margherita, viene occupato dagli operai che decidono di provare a continuare la produzione. La Direzione prima reagisce facendo tagliare la corrente elettrica poi, visto il prolungarsi dell’occupazione, offre 150 ore di stipendio a coloro che cessano l’agitazione. L’occupazione continua fino al 22 gennaio quando un ufficiale giudiziario accompagnato dalle forze di polizia fa sgomberare i locali dell’azienda.
    Nonostante l’intervento dell’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) – diventato azionista di maggioranza – durante tutti gli anni Cinquanta e Sessanta l’azienda vive ancora un periodo di ripresa incerta e accusa in particolare i forti ritardi accumulati sotto il profilo tecnico. Nel 1960 assistiamo a tre anni di forte espansione con un importante aumento degli organici e il trasferimento della maggior parte della produzione a Settimo Torinese ma poi, a causa della congiuntura sfavorevole e degli scarsi aumenti di produttività, seguono nuovi anni altalenanti, marcati in particolare dalla diminuzione dell’importanza dei settori Macchine tessili e Fonderia ghisa.
    La crisi del 1973 ha effetti particolarmente importanti sull’attività della Nebiolo, il calo degli investimenti dovuto al contesto economico incerto si ripercuote direttamente sugli ordini di beni strumentali d’investimento come le macchine utensili prodotte dall’azienda. La situazione precipita nel 1975, i piani di produzione si rivelano assolutamente sconclusionati rispetto all’andamento di mercato e alla situazione aziendale. Da gennaio comincia quindi un ricorso sempre più massiccio alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG), in ottobre l’azienda annuncia 521 licenziamenti poi trasformati in CIG a zero ore per 230 dipendenti a seguito di una dura lotta da parte dei lavoratori durante tutto l’autunno. La riduzione dei livelli occupazionali e lo snellimento dell’azienda fanno in realtà parte di un più ampio processo di ristrutturazione in vista di una ventilata acquisizione della Nebiolo da parte della FIAT, che si concretizza effettivamente nel 1976 sullo sfondo di complicati equilibri tra l’IMI e il colosso torinese dell’auto.
    Il rilancio della Nebiolo non si concretizzerà però mai veramente, i necessari investimenti, individuati dal nuovo Direttore Generale Alfonso Ferrero, non vengono mai realizzati. Nel 1978, la FIAT fa invece intervenire ai vertici uomini provenienti dalla COMAU che impongono tagli e una politica industriale che denota una scarsa conoscenza delle specificità del settore delle macchine grafiche e della stessa Nebiolo. Nel 1982 a fronte di una situazione divenuta ormai insanabile, l’azienda viene di fatto liquidata senza grossi traumi, attraverso la CIG e il blocco del turnover concludendo così la sua storia ultracentenaria.

    ​Fonti:
    Giorgio Di Francesco, Torinesi di carattere, Lupieri editore, 2004.
    Depliant della mostra fotografica sulla Nebiolo (archivio)