Giorgina Levi intervista Odilla Bioletto sul comizio per la pace del 1915. Bioletto ricorda che, nell’ultima settimana dell’aprile del 1915, il gruppo femminile del partito socialista decise di organizzare un comizio delle donne contro tutte le guerre al quale venne invitata Angelica Balabanoff. Affittarono per questo il salone della Camera del Lavoro, e chiesero e ottennero il permesso dalla questura a patto che la manifestazione si svolgesse al chiuso. Il comizio ebbe un grande successo: la Bioletto ricorda che accorse talmente tanta gente che ebbero difficoltà a far entrare tutti nel salone. Gli organizzatori non disponevano di altoparlanti e la Balabanoff parlò davanti ad una finestra, in piedi, su una sedia. Segue un’intervista a Battista Santhià sulle associazioni operaie: Santhià inizia l’intervista parlando della città di Torino e del suo lento sviluppo. Ricorda che per le famiglie operaie la situazione era difficile. Le famiglie numerose, e vivevano in case di ballatoio, (Barriera di Milano e Barriera di Nizza), senza riscaldamento. Questa situazione produceva una vita collettiva con gli elementi positivi e negativi. Lentamente nacque l’esigenza di un luogo di svago e di aggregazione, al di fuori del cortile. Gli unici luoghi di aggregazione erano le trattorie con il gioco delle bocce accanto alle fabbriche. Le prime società operaie a Torino erano sei o sette (Campidoglio, San Donato), nate in modo autonomo ma essendo fondamentalmente operaie avevano carattere di mutuo soccorso, inizialmente anticlericale e poi socialista. I soci pagavano quote di associazione, ma avevano assistenza in caso di malattie e infortuni. Col tempo assunsero anche funzioni di carattere sindacale, di lega professionale. Da qui nascono i primi circoli dove le persone si trovavano a giocare a carte, e a passare il tempo libero in famiglia. Si trattava dei cosiddetti “circoli vinicoli”, che avevano anche una funzione calmieratrice e, in un secondo tempo, politico-elettorale. A San Paolo, Santhià ricorda il circolo vinicolo di via Barge, dominato da un sindacalista ferroviere anarchico delle Officine Nuove. I giovani lottarono per trasformare il circolo in senso, più politico, ricreativo ed educativo e per questo vennero espulsi. Si staccarono e formarono, tra il 1911 e il 1912, il circolo dei giovani socialisti di via Frejus. Accanto all’esigenza di uno spazio dove trovarsi e stare con le proprie famiglie si definisce quindi la caratteristica di classe dei circoli e si ampliano le loro attività organizzando riunioni politiche, conferenze quasi settimanali ed attività specifiche come le filodrammatiche (a San Paolo, Campidoglio, Borgo Vittoria e Lucento), i cori e le bande municipali. Santhià ricorda alcuni spettacoli: “La morte civile”, “Il padrone delle ferriere”, “La vispa Teresa” ed altri anche in piemontese. L’attività culturale dei circoli era legata strettamente a quella della Camera del Lavoro. Considerando la bassa scolarità, la funzione culturale dei circoli è stata importantissima. Nella sede del circolo si organizzavano le grandi lotte politiche, ma si tenevano anche conferenze politiche settimanali e lezioni di carattere igienico e tecnico professionale. Per questi motivi i circoli hanno avuto grande importanza nei quartieri e fama di serietà morale e capacità educativa anche presso coloro che non aderivano al Partito Socialista. Nel circolo normalmente si trovava la sala da ballo e il servizio guardaroba, il buffet ed anche una biblioteca. I libri erano scelti da una commissione apposita, formata per lo più da giovani. Come attività sportiva si faceva il gioco delle bocce e qualche rara gita (perché mancavano i soldi). L’unico gruppo sportivo organizzato che Santhià ricordi erano i “Ciclisti Rossi” di Barriera di Milano nati, per impulso di un gruppo di vercellesi. Il gruppo era nato non per partecipare a gare locali, ma per fare propaganda in provincia. Ricorda qualche raduno provinciale del gruppo la sfilata nel corteo del 1° Maggio. Entrare come socio non era facile, si doveva fare domanda che era sottoposta all’approvazione di tre assemblee consecutive e solo in assenza di contestazioni di carattere morale o politico, si poteva ottenere l’associazione. Tutta l’attività era volontaria: solo il buffettista veniva retribuito. La struttura organizzativa era costituita da un presidente, un consiglio di amministrazione e alcune commissioni (commissione giovani, commissione ballo e guardaroba, commissione biblioteca, commissione cantina per acquistare e imbottigliare il vino) e la segreteria. Santhià ricorda che Barriera di Milano c’era un circolo in via Favetto. Era un circolo piuttosto angusto, con un locale per le riunioni e un dehor per la bella stagione. Non c’era il gioco delle bocce. I giovani avevano un locale a parte. Giorgina Levi chiede della presenza a Torino di circoli cattolici. Santhià risponde che dopo la prima guerra mondiale si aprirono in città anche alcuni circoli cattolici; in borgo San Paolo ve ne era uno in cui lui e Mario Montagnana andavano a fare a fare “contradditorio”. Tuttavia, sostiene, la concezione piuttosto ristretta della piccola borghesia torinese aveva impedito lo sviluppo dei circoli cattolici. I circoli ebbero sempre una base sociale, non strettamente ideologico. Si trattava di circoli operai in cui gli aderenti strinsero rapporti con tutta la popolazione del quartiere che durante le grandi manifestazioni mostrava la propria unità.