Elena Montagnana inizia l’intervista ricordando la figura della nonna Colombo, moglie di un orefice, che aveva abitato prima a Saluzzo e poi a Pinerolo; era una donna molto intelligente, che scriveva poesie e tutti gli anni raccoglieva libri che portava poi ai carcerati. Finché la nonna rimase in vita, la famiglia osservò tutte le festività ebraiche; alla sua morte però, la madre portò i figli soltanto qualche volta al tempio. Il padre comprò una casa in borgo San Paolo che era un borgo operaio; il fratello Mario, finita la terza media, entrò in fabbrica come operaio, dietro suggerimento del padre che desiderava che i figli fossero in grado di mantenersi. Mario, che lavorava in una piccola officina di proprietà di un anarchico, ben presto cominciò a frequentare il circolo giovanile socialista del borgo, seguito poi dal fratello e dalle sorelle. Elena iniziò a frequentare il circolo a 14 anni, come segretaria del gruppo femminile; anche Lidia, che poi sposò Olivio Berga, frequentava il circolo ma senza particolare convinzione. Della sorella Clelia, Elena ricorda che non entrò mai nel partito comunista anche se durante la seconda guerra mondiale sosteneva la necessità che tutti gli stati diventassero comunisti per poter costruire la pace. Elena, ricorda che, durante il fascismo, aveva creato una sorta di “Soccorso rosso” privato, occupandosi dei bambini dei carcerati e portandoli in giro o al cinema. Massimo, il più giovane dei figli Montagnana, era entrato nel partito comunista nel 1921, ma non fu costretto a emigrare perché non era compromesso politicamente. In borgo San Paolo tutti conoscevano la famiglia Montagnana e frequentavano la loro casa, ammirati dal coraggio della madre, che rimasta vedova nel 1903, aveva allevato da sola sei figli, con grandi sacrifici. La casa era frequentata da Santhià, Oberti e dai due fratelli Pajetta. Elena ricorda le frequenti perquisizioni della polizia in casa e i frequenti arresti di Mario, quando qualche autorità arrivava in visita a Torino; quando veniva rilasciato, la madre non lo facevamo entrare immediatamente a casa perché era pieno di pidocchi. La madre teneva alla tradizione ebraica, ma con tutti i figli comunisti aveva abbandonato le ritualità, adattandosi a rispettare soltanto alcune tradizioni delle grandi feste.
Elena ricorda che, nel 1923, dovette espatriare perché il marito Paolo Robotti era ricercato; vissero prima in Francia, poi in Belgio dove lei non lavorava dovendosi occupare dei figli; Paolo venne arrestato e lei con i bambini riuscì a scappare in un albergo e poi, aiutata dai compagni, si rifugiò a Parigi. Lì la raggiunse poi il marito e, dopo qualche mese, si trasferirono in Russia. A Mosca Elena trovò occupazione come traduttrice, Rita invece lavorava alla radio per le trasmissioni in lingua italiana. Segue l’intervista a Paolo Robotti che ricorda di aver conosciuto la famiglia Montagnana nel circolo socialista, ricevendone una forte impressione per la loro unità ed il loro affiatamento. Erano tutti uniti nell’attività politica anche se in modi diversi. Ricorda i tanti comizi nel vercellese: quando sui manifesti compariva il nome di Clelia, accorrevano molte donne perché lei sapeva parlare in modo semplice e comprensibile. Di mamma Montagnana ricorda la simpatia e la grande libertà che concedeva a tutti i suoi figli.