La rivista settimanale «Settegiorni in Italia e nel mondo», fondata da Carlo Donat-Cattin, nasce nel giugno 1967 a Roma e sarà pubblicata in 366 numeri fino al luglio 1974.
«Settegiorni in Italia e nel mondo», rivista figlia dell’area della sinistra Dc e legata idealmente alla corrente di Forze Nuove, nasce in un momento delicato della storia del movimento cattolico. Il clima è quello del post-concilio e delle numerose correnti che, nell’ambito politico-cattolico, concepiscono il proprio impegno al di fuori del raggio d’azione della Democrazia cristiana. La delusione per i governi di centro-sinistra a guida Aldo Moro, che avrebbero dovuto, a detta di tali settori, affrontare le sfide imposte dal boom economico in maniera maggiormente incisiva e progressista, e gli spazi di libertà che il Vaticano II apre ai cattolici nella sfera temporale hanno come esito il progressivo scollamento di una parte dei cattolici impegnati in politica, ponendo in crisi il collateralismo tra la Dc e le organizzazioni d’ispirazione cristiana come l’Azione cattolica o la Cisl. La ricchezza del dibattito cattolico extraparlamentare è rappresentata dal fiorire di numerose riviste, molte delle quali partecipano al convegno culturale di Lucca dell’aprile 1967, dal titolo I cattolici italiani nei tempi nuovi della cristianità, mediante il quale la Democrazia cristiana tenta di riallacciare i rapporti con le correnti indipendenti.
Se la mediazione fra partito e cultura cattolica extraparlamentare non trova esiti correttivi significativi nella politica democristiana, «Settegiorni» si configura come quella zona di frontiera dove si instaura un dialogo tra “cattolici senza partito”, mondo socialista e comunista, esponenti della sinistra Dc che, pur senza rompere col partito, non risparmiano critiche allo stesso. Da questo punto di vista è chiara la scelta dei due direttori, Ruggero Orfei e Piero Pratesi, figure di spicco della cultura cattolica extrapartitica, i quali rappresentano una sfida aperta all’establishment cattolico, ecclesiastico e democristiano. D’altronde, l’obiettivo conclamato è quello, nelle parole di Orfei, di «suscitare dibattito e creare cultura politica», dando forma a un nuovo polo che colmi il vuoto d’identità che investe la politica cattolica ufficiale. Per questo la rivista mantiene viva l’attenzione alle novità provenienti dai fermenti sociali a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, dalle forze vive del rinnovamento, costruendo ponti con le altre formazioni che intendono accogliere tali voci e costruire una politica capace di guidare il processo sociale.
Il settimanale, come ricorda Sandro Fontana e come si intuisce dal titolo, oltre a svecchiare il dibattito politico italiano, intende ampliare lo sguardo ben oltre la dimensione nazionale. «Settegiorni» include una densa rubrica di politica estera, solitamente una delle prime a comparire nelle colonne del periodico, documentando con rigore i più importanti eventi internazionali del settennato di edizione della rivista, tra cui la guerra del Vietnam e i fragili equilibri del Medio Oriente. Alimenta inoltre il dibattito culturale: figurano approfondimenti ed interviste ad accademici ed intellettuali di grande profilo, come Marshall McLuhan. L’evoluzione della società e in particolare delle “forze nuove” è seguito con inchieste sui giovani e sui temi connessi al mondo del lavoro. La rubrica Religioni, oltre a documentare le vicende cattoliche post-conciliari, ha un’impostazione ecumenica: trovano posto approfondimenti e tentativi di dialogo con le altre chiese cristiane.
Tutto questo senza dimenticare la Democrazia cristiana, il partito a cui «Settegiorni» in realtà non smette di guardare. Nell’ottica del periodico, il partito cattolico resta l’asse portante della politica italiana ed infatti la crisi che investe la formazione cristiana è specchio dell’evoluzione travagliata del paese. Non è più sufficiente l’impostazione moderata ed interclassista che ha saputo guidare l’Italia nel dopoguerra, allargando lo spazio della democrazia a molti cittadini, seppur sotto il controllo borghese. Gli editoriali dei direttori sono molto chiari nel propendere per una più netta scelta di classe, a favore dell’accoglienza delle istanze sociali che le forze vive della società hanno imposto all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica.
Per questo oggetto di duri attacchi è il doroteismo, quella che «Settegiorni» definisce “corrente moderata”, in contrasto con la “corrente democratica”, quella delle sinistre democristiane. È fondamentale che queste ultime assumano un ruolo egemone nella Dc, ponendo fine alla gestione dell’esistente e alla conservazione del potere, all’immobilismo e all’incapacità d’intuire il nuovo e di canalizzarlo politicamente.
Il rischio di cadere nell’integralismo è dietro l’angolo: lo spettro di un’alleanza con le forze conservatrici è una minaccia costante e uno scenario siffatto non può che sfociare in una posizione che si crogiola nella sua forza, rifiutando gli apporti di altre formazioni, quando non sia utile e strumentale, o le novità provenienti dai movimenti della società.
L’ultimo grande approfondimento offerto da «Settegiorni» prima della chiusura nel luglio 1974 è relativo al referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini. Il settimanale si schiera apertamente sul fronte del No, dunque a favore del mantenimento della legge. Sulla decisione pesa la volontà di evitare che la Democrazia cristiana scivoli ancor di più verso il fronte conservatore e la convinzione che, seppure l’indissolubilità rappresenti il miglior modello di matrimonio, esso non possa essere imposto per legge ma debba provenire da un’autentica e libera adesione personale.
(Gabriele Formigaro)
La rivista è stata oggetto di un organico lavoro di spoglio che ha consentito la catalogazione in SBN dei circa 11.000 titoli analitici degli articoli e di mettere a disposizione sul sito web l’indice completo per autori di tutti i 366 numeri pubblicati.
In parallelo si è proceduto alla digitalizzazione di tutte le annate della rivista, che qui viene resa fruibile integralmente.