La «Cassa di risparmio e previdenza per la provincia di Asti» nacque il 25 gennaio del 1842 per iniziativa dell’intendente del re, il cavalier Serra, e sotto l’egida della curia astigiana. Si riunirono infatti quel giorno sotto la presidenza del vescovo di Asti, monsignor Filippo Artico, i 200 sottoscrittori delle prime 200 azioni da 50 lire, tra cui figuravano le principali Opere pie e Comunità dell’allora provincia di Asti e 85 azionisti, rappresentanti della classe dirigente astigiana e della nobiltà astese. Alla fondazione seguì la creazione di una commissione con il compito di redigere il regolamento organico della Cassa – approvato dagli azionisti il 6 dicembre 1842 e munito della sovrana sanzione il 7 marzo 1843.
La Cassa aprì i battenti il primo giorno di mercato del 1844, mercoledì 3 gennaio: gli uffici, all’ultimo piano del Palazzo municipale, erano aperti al pubblico nei due giorni di mercato della settimana (mercoledì e sabato). Il Consiglio di amministrazione era composto di quindici membri: il sindaco della Città, un consigliere comunale, il direttore e dodici consiglieri eletti dall’assemblea dei fondatori.
La nascita dell’istituto ad Asti – in un’area essenzialmente agricola caratterizzata da una netta predominanza della viticoltura e da un modello produttivo basato sulla piccola proprietà, ancora fino al primo dopoguerra – fu segnata da un inizio piuttosto modesto, a causa delle crisi economiche e sociali del periodo, ma soprattutto delle vicende politiche risorgimentali che inducevano timori nei risparmiatori e di conseguenze limitavano l’afflusso di depositi.
Un primo passo, decisivo, verso il cambiamento per venire incontro al contesto socio-economico entro cui la Cassa si trovava a operare, si ebbe con il nuovo statuto approvato nel 1867, con cui venne soppresso dalla denominazione dell’istituto il titolo «di previdenza», elevato il credito dei depositanti (fino a 10.000 lire) e autorizzato l’impiego del denaro, oltre che nei modi stabiliti dal primo statuto, anche in acquisto di buoni del tesoro, in anticipazioni su deposito di fondi pubblici, in mutui cambiari e in depositi presso stabilimenti bancari di indiscussa solidità.
Con il nuovo statuto, approvato nell’ottobre 1886, la Cassa di risparmio di Asti venne eretta a ente morale, a norma di legge, e soggetta a vigilanza governativa: divenne quindi autonoma, con la scomparsa degli azionisti, senza fondo destinato al rimborso delle azioni (gli utili furono destinati per un quarto in opere di pubblica utilità e per tre quarti in aumento del patrimonio della Cassa). Fu inoltre ridotto a nove membri il Consiglio di amministrazione, mentre con lo statuto successivo, approvato nel 1891, venne escluso il sindaco di Asti dal Consiglio di Amministrazione, per incompatibilità. In quegli stessi anni si avvertì la necessità di cambiare la sede dell’istituto: le poche stanze presso il Palazzo municipale non erano più sufficienti, per cui fu costruito un nuovo edificio – con numerosi uffici e un’ampia sala di rappresentanza – nell’area compresa tra Piazza del Teatro vecchio o di San Bernardino (l’attuale Piazza Roma) e corso Alfieri, inaugurato l’8 maggio 1894. Come simbolo dell’istituto – rappresentato in un’effigie sul portale dell’ingresso – fu scelta l’ape, che rappresentava l’operosità dei risparmiatori.
Già all’inizio del secolo la Cassa consolidò le sue attività benefiche sul territorio e il suo interesse per il sociale: particolarmente significativo lo stanziamento di 5000 lire per la nascita della pia fondazione intitolata a Umberto I, con lo scopo di dare sostegno ai malati poveri dimessi dall’ospedale civile; negli anni successivi si registrarono considerevoli somme a favore dell’educazione fisica della gioventù, della costruzione di lavatoi pubblici, di opere di fognatura e di igiene pubblica della città.
Dalla Cassa venne anche un significativo sostegno all’attività industriale: nel 1906 l’istituto stanziò un contributo di 100.000 lire per le spese di impianto dello stabilimento metallurgico «Fabbriche riunite Way-Assauto», un progetto che avrebbe consentito ad Asti di inserirsi nella grande industria nazionale. Allo stesso modo si verificò un progressivo radicamento nel territorio attraverso prestiti per migliorie agrarie, costruzione di case operaie, sviluppo di industrie locali e l’intervento in settori strategici come la viticultura e il mercato dei bozzoli, fondamentali nel tessuto economico dell’Astigiano.
Con la fine del conflitto, mentre la Cassa riuscì a superare il periodo critico, altri istituti attivi nell’Astigiano furono obbligati a chiudere: tra questi si ricordano il Banco di sconto Anfossi-Berruti (1920), la Banca rurale Silvio Pellico (1922), il Banco di San Secondo (1922), la Banca agricola astigiana (1930).
Nel 1927 la Crat assunse la liquidazione della Banca agricola commerciale di Moncalvo. In quegli stessi anni ebbe luogo una prima espansione della Cassa nel’Astigiano: nel 1930 le filiali della banca sul territorio erano cinque (Castagnole Lanze, Costigliole, Montemagno, San Damiano, Moncalvo); nel 1932, in seguito alla liquidazione Banca astese, la Cassa si insediò nelle dipendenze di Agliano, Calliano, Castell’Alfero, Refrancore, Rocca d’Arazzo; nel 1936 a Bubbio, in seguito alla liquidazione della Banca popolare cooperativa di Bubbio; nel 1940 a Vigliano, in seguito alla liquidazione della Cassa rurale; nel 1942 a Castelnuovo Belbo, in seguito all’incorporazione del Piccolo credito agrario di Castelnuovo Belbo.
Nel 1944, con l’incorporazione del Monte di pietà di Asti da parte della Cassa di risparmio di Asti, venne aperta presso di essa una nuova sezione per il servizio delle operazioni su pegno e l’istituto divenne proprietario della sede del Monte (tra Via XX Settembre e Via Bonzanigo).
Negli anni Cinquanta si registrò un aumento dei depositi, dei titoli di proprietà dell’istituto e dei crediti ipotecari, in una congiuntura economica particolarmente favorevole che si stava manifestando in Italia e nel resto del mondo. La Cassa continuava a prestare attenzione anche alle richieste di credito da parte degli agricoltori, dei commercianti, degli industriali e degli artigiani, potenziando le iniziative di sviluppo industriale e infrastrutturale, quali sovvenzioni all’edilizia cittadina e provinciale, e alle industrie locali.
Il 26 aprile 1971 la Banca d’Italia autorizzò la Cassa all’acquisto delle restanti 8000 azioni della Banca agraria Bruno & C. e all’incorporazione che ebbe luogo il 1 luglio 1971: ciò consentì un ulteriore ampliamento delle attività e la possibilità di rafforzare la propria posizione sul territorio (con l’incorporazione la Cassa di risparmio di Asti subentrava in tutte le filiali della Banca Bruno aperte in provincia).
Nel frattempo la sede di Piazza Roma, inaugurata a fine Ottocento, iniziava a presentare problemi di funzionalità rendendo indispensabili lavori di ristrutturazione continui. Dopo alcuni progetti – che si mostrarono insufficienti – per ampliare quella esistente, nel 1979 venne avanzata la proposta di acquistare i fabbricati di proprietà Armandi, in pieno centro storico (Piazza Libertà e Via Gardini) per riunire in un unico complesso tutti gli uffici dell’istituto (direzione e servizi amministrativi). Gli immobili furono ristrutturati e dall’aprile 1986 sono diventati la sede centrale della banca.
Il 13 luglio 1992 è stata costituita la «Cassa di Risparmio di Asti Spa» attraverso il conferimento dell’azienda bancaria da parte dell’ente creditizio Cassa di risparmio di Asti, che ha assunto la nuova denominazione di «Fondazione Cassa di Risparmio di Asti», che svolge la propria attività istituzionale con iniziative rivolte ad Asti e alla sua provincia in diversi settori tra cui la ricerca scientifica, l’arte, la sanità e l’istruzione.