Espressione utilizzata per designare un insieme di movimenti di natura prevalentemente sociale, sorti nell’ultimo scorcio del 19° sec., in parte avallati e incoraggiati dalla istituzione ecclesiastica e dal papato. Ufficialmente fu riconosciuta con le teorie enunciate da G. Toniolo e nell’enciclica Graves de communi di Leone XIII (1901). In Italia, dopo la nascita della Società della gioventù cattolica italiana a opera di G. Acquaderni e M. Fani, nel 1874 fu fondata l’Opera dei congressi e comitati cattolici, che per 30 anni fu l’organizzazione del cattolicesimo di opposizione allo Stato liberale. Sulla base dottrinale dell’enciclica di Leone XIII Rerum Novarum (1891) intorno alla condizione operaia, si formarono i primi fasci o circoli democratici cristiani europei; tra i primi tentativi di delineare un piano di riforme concrete per l’Italia, nello spirito dell’enciclica leonina, fu il Programma dei cattolici di fronte al socialismo enunciato nel 1894 a Milano nel II Congresso dell’Unione cattolica per gli studi sociali: la ‘preparazione nell’astensione’ segnò un primo passo verso la partecipazione dei cattolici alle elezioni. La formulazione de Il concetto cristiano di democrazia di G. Toniolo fu il punto di partenza di tutto il movimento della d. italiana, le cui forze più vive si riunirono intorno alla rivista Cultura sociale, diretta da R. Murri. Nel 1900 fu pubblicato il programma di un nuovo giornale democratico cristiano, Il domani d’Italia, che annunciò la costituzione di un partito democratico cristiano; ma con l’enciclica Graves de communi (1901) il pontefice affermò che non era «lecito di dare un senso politico alla democrazia cristiana», pur esprimendo il proprio consenso alle istanze sociali dei giovani. Gli esiti del XVIII Congresso cattolico (1901), in cui la presidenza dell’Opera dei congressi non ratificò l’accordo fra la corrente sociale dei giovani e gli intransigenti, indebolì la posizione di Murri all’interno del movimento, trovando più ampi consensi l’azione moderata di F. Meda. Seguirono lunghe polemiche, finché nel 1904 il segretario di Stato R. Merry del Val annunciò la soppressione dell’Opera dei congressi (a eccezione della seconda sezione presieduta da S. Medolago). Lo scioglimento dell’Opera colpì le aspirazioni dei giovani democratici cristiani, ma inferse anche un duro colpo agli intransigenti, mentre Pio X, sul problema della partecipazione cattolica alla vita politica, seguì una linea più elastica rispetto al suo predecessore: il non expedit fu osservato sempre con minor rigidezza fino a giungere alle elezioni del 1913 allorché, mediante il Patto Gentiloni, si raggiunse il culmine della politica ‘clerico-moderata’ seguita nel decennio giolittiano. In reazione, alcuni giovani democratici cristiani, tra cui Murri, proseguirono la loro azione nella Lega democratica nazionale (1905), la cui opera fu rivolta alla presenza dei cattolici nel mondo proletario e alla rivendicazione del principio di autonomia politica del cattolico nei confronti dell’autorità religiosa. Pio X, con l’enciclica Pieni l’animo, condannò la Lega e proibì ai sacerdoti di aderirvi (1906). La sospensione a divinis di Murri (1907) e la scomunica (1909), dopo la sua elezione a deputato, ebbero gravi contraccolpi nella Lega e il congresso di Imola (1910) ne segnò la fine. Un anno più tardi a Firenze nacque la Lega democratica cristiana italiana (Cacciaguerra, Donati), ma alla fine della guerra questa corrente dissidente confluì nel filone più importante del movimento politico dei cattolici italiani, il Partito popolare, la cui attività fu poi bloccata dal regime fascista. La ricostruzione del partito cattolico avvenne tra il 1942 e il 1943, attorno a ex dirigenti del Partito popolare (A. De Gasperi, G. Spataro, M. Scelba, P. Campilli ecc.) e a giovani cattolici (G. La Pira, G. Dossetti, A. Moro, A. Fanfani, G. Andreotti ecc.). La DC – che aderì al CLN e partecipò alla lotta di liberazione antifascista – propugnava nel suo programma la democrazia parlamentare e l’autonomia politica e amministrativa degli enti locali, mentre difendeva i valori e il ruolo della famiglia e rivendicava la libertà dell’insegnamento privato; sul piano sociale si impegnava a limitare l’accentramento della ricchezza capitalistica e a sostenere la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Partecipò ai governi Badoglio, Bonomi e Parri, finché nel dicembre 1945 fu varato il primo gabinetto De Gasperi. La DC, partito interclassista e popolare, la cui matrice cattolica si accompagnava a una visione della politica sostanzialmente laica, si configurò subito come forza di governo e di centro, costruendo la propria base soprattutto tra le masse contadine, i ceti medi e la borghesia imprenditoriale, mentre sul terreno ideologico si pose come forza avversa a ritorni reazionari e alla minaccia totalitaria del comunismo. Tendenzialmente repubblicana (I Congresso, 1946), la DC ottenne la maggioranza relativa all’Assemblea costituente; problemi interni, riguardanti le scelte della ricostruzione, e internazionali (l’inizio di una fase di tensione fra USA e URSS) spinsero De Gasperi a liquidare (1947) la formula di governo che aveva guidato i primi passi del dopoguerra, fondata sull’alleanza con socialisti e comunisti, e a inaugurare l’epoca del centrismo (1947-60). Questa scelta sortì il successo delle elezioni del 1948 che videro assegnata alla DC la maggioranza assoluta dei seggi. Sul finire degli anni 1940, attorno alla rivista Cronache sociali di G. Dossetti si formò una corrente critica della politica degasperiana, confluita poi (dopo il ritiro di Dossetti nel 1951) nella corrente di Iniziativa democratica guidata da A. Fanfani, P.E. Taviani e M. Rumor. La seconda legislatura (1953-58) fu caratterizzata dalla prevalenza di Iniziativa democratica, sulle cui posizioni convergeva la corrente di Base (G. Galloni, G. Marcora), e sanzionata dal V Congresso (1954) che elesse Fanfani segretario. Nel 1958 Fanfani formò un governo DC-PSDI che suscitò la spaccatura della sua corrente e opposizioni interne tali che egli fu costretto a dimettersi dalla presidenza del Consiglio e anche dalla segreteria del partito. I nuovi equilibri interni (era nata la corrente dorotea, sostenitrice del partito come asse politico centrale e riequilibratore dei rapporti politici e sociali, facente capo a Rumor, A. Segni, F. Piccoli ecc.) portarono alla segreteria di A. Moro (1959), anch’egli convinto dell’esaurimento della politica centrista ma meno propenso di Fanfani a forzare i tempi. Il varo del centrosinistra era stato preparato nell’VIII Congresso (1962), e, nel 1963 Moro formò il primo governo organico di centrosinistra. Le elezioni del 1968 segnarono uno scacco per il centrosinistra. L’instabilità politica (6 governi nel 1968-72) era accentuata da quei fenomeni – dal movimento degli studenti all’‘autunno caldo’ – che, segnalando un profondo bisogno di rinnovamento nella società civile e politica, contribuirono a minare il quadro politico; nuovi fermenti segnavano la fine del collateralismo politico-religioso, per cui alla DC era tradizionalmente riconosciuta la rappresentanza del mondo cattolico. La strategia della DC in questi anni non fu univoca: se l’XI Congresso (1969) affiancò al segretario Piccoli il presidente B. Zaccagnini, espressione delle aspirazioni di rinnovamento, alle presidenziali del 1971 i parlamentari della DC preferirono, al candidato ufficiale Fanfani, G. Leone, eletto con l’appoggio della destra, per giungere infine alla liquidazione del centrosinistra e alla riedizione del centrismo (1972-73). Al XII Congresso (1973), un accordo tra le correnti sancì la riedizione del centrosinistra e la segreteria Fanfani, che utilizzò la ricostituita unità interna nella perdente campagna referendaria per l’abrogazione della legge sul divorzio (1974). Con la segreteria Zaccagnini (1975) riprese vigore la linea di Moro, descritta come ‘strategia dell’attenzione’ verso il PCI, che uscì confermata dal XIII Congresso (1976). Nelle elezioni politiche anticipate del 1976 il 34,4% di preferenze avuto dal PCI (la DC ottenne il 38,8%) imponeva un’accelerazione del confronto fra i due maggiori partiti italiani. La soluzione concordata furono i 2 governi monocolore Andreotti (luglio 1976-marzo 1979) detti di ‘solidarietà nazionale’: il primo con l’astensione di PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, e il secondo – inaugurato il giorno del rapimento di Moro da parte delle Brigate rosse, 16 marzo 1978 – con il voto favorevole di PCI, PSI, PSDI, PRI e Democrazia nazionale. Con la crisi del secondo governo di solidarietà nazionale si chiuse il periodo dell’attenzione verso il PCI. In via di esaurimento il terrorismo, dopo la pubblicazione di documenti sulla loggia massonica P2 (1981) fu sollevata dall’opposizione, specie comunista, la ‘questione morale’, cioè la critica di gravi distorsioni dei meccanismi del potere interpretate come conseguenza del mancato ricambio della classe di governo. La DC cedette nel giugno 1981 la presidenza del Consiglio con i governi Spadolini, e il congresso del 1982 elesse segretario C. De Mita, esponente della sinistra, col mandato di ‘moralizzare’ alcuni settori del partito e renderlo più permeabile alle trasformazioni della società. Nelle elezioni anticipate del 1983 la DC arretrò vistosamente (32,9%), ed emerse come contestatore dell’egemonia democristiana il PSI, cui la DC lasciò la guida del governo (gabinetti Craxi, 1983-87). De Mita fu confermato alla segreteria nel 1984 e nel 1986 e dal 1988 fu anche presidente del Consiglio, ma al congresso del 1989 una maggioranza a lui sfavorevole (e meno ostile verso il PSI) guidata da G. Andreotti, A. Gava e A. Forlani, elesse quest’ultimo alla segreteria. Nel 1991, con il passaggio all’opposizione del PRI, emersero nuovi fermenti anche nel mondo politico tradizionalmente legato alla DC. Le elezioni politiche anticipate del 1992 videro la DC scendere ancora al 29,7%. Alla fine degli anni Ottanta del 20° sec. conobbe una crisi politica che si saldò a quella generale della cd. prima repubblica. Fu quindi travolta da tangentopoli e infine (1994) si frantumò in una serie di formazioni minori (PPI, CCD, UDC, Democrazia cristiana ecc.).