Il file contiene due interviste di Giorgina Levi: la prima del 6 febbraio 1981 a Battista Santhià sulla famiglia Montagnana e la seconda a Franco Montagnana sulla sua vita e sui ricordi di famiglia. Battista Santhià racconta di aver conosciuto la famiglia Montagnana intorno al 1913-1914 quando si trasferì dalla barriera di Milano a Borgo San Paolo. Nell’intervista si sofferma sul carattere dei singoli componenti della famiglia e del loro rapporto con il Borgo. Seguono ricordi del periodo dell’occupazione delle fabbriche 1920. A tratti l’audio presenta gravi lacune. Al minuto 39 l’intervista si interrompe bruscamente e poco dopo l’audio riprende con Giorgina Levi che legge una lettera ricevuta signor Casimiro Bianchetto sulla sua vita a La Paz, in Bolivia, dal 1930 al 1933. La lettura prosegue fino al minuto 44, quando riprende la testimonianza di Santhià che racconta del giardino dei Montagnana, di cui lui si occupò, seminando pomodori e insalata, curando le rose e l’albero di prugne. Al minuto 49 e 47 inizia l’intervista di Giorgina Levi del 9 maggio 1981 a Franco Montagnana, figlio di Mario, sulla sua vita e sulle vicende politiche e familiari dei fratelli Montagnana. L’intervista inizia, su sollecitazione di Giorgina Levi, con un riferimento all’identità ebraica della sua famiglia, che non era una questione presente nella loro vita. Dichiaratamente atei, i Montagnana si occuparono di politica, senza che questo sembrasse avere alcun riferimento diretto all’ebraismo. Franco Montagnana racconta di essere nato nel 1925 e di essere emigrato, prima in Francia poi in Belgio, quindi nuovamente in Francia. Era il 1933 e il padre e la madre rientravano illegalmente in Italia. Successivamente si trasferì con la madre in URSS fino al 1935, dove li aspettava il padre già rappresentante del PCd’I presso il Comintern. Montagnana ricorda i primi anni di scuola e le difficoltà dovute all’apprendimento della lingua e alle necessità di cambiare continuamente scuola, indirizzo, nome, vivendo di fatto senza documenti in un paese straniero. Nel 1939/40, in Francia, sia il padre sia la madre vennero arrestati e lui ebbe grossi problemi a mantenersi, non potendo lavorare dal momento che disponeva di un permesso di soggiorno solo come studente. Solo un compagno che faceva l’imbianchino lo prese a lavorare con lui. Nell’agosto del 1941 il partito gli consigliò di rientrare in Italia dai nonni perché i genitori erano emigrati in Argentina. A Torino, trovò alloggio presso il nonno materno, Francesco Favero, in borgo Vanchiglia; lavorava alla Fiat e mangiava dalla nonna paterna in borgo San Paolo dove venne in contatto con i primi compagni italiani. Ben presto si rese conto di detestare il fascismo per averlo strappato brutalmente ai genitori e per averlo obbligato vivere sotto una dittatura. Ugualmente provò lo stesso sentimento per il nazismo che aveva attaccato la Russia, paese che amava profondamente. L’appartenenza ebraica non aveva invece un grande peso, anche se percepiva il peso del razzismo cui erano sottoposti. Termina quindi l’intervista raccontando le sue esperienze lavorative, la sua partecipazione all’attività clandestina e alla guerra partigiana in val Pellice.